Sentenza contro i No-Ponte, una lezione epocale

Sentenza contro i No-Ponte, una lezione epocale: dovranno pagare oltre 3.000 euro a testa i promotori di un’iniziativa senza speranza

StrettoWeb

La sentenza emessa dal Tribunale delle Imprese di Roma che boccia il ricorso avanzato da 104 cittadini contro la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina rappresenta una chiara vittoria per un’opera che, pur ancora in fase progettuale, promette di essere una delle infrastrutture più ambiziose e strategiche per il nostro Paese. I ricorrenti avevano avviato un’azione legale per fermare ogni attività di progettazione, sostenendo che l’opera avrebbe causato danni all’ambiente, al paesaggio e al patrimonio culturale. Contro la loro iniziativa si erano costituiti la società Stretto di Messina S.p.a. ed un altro gruppo di 140 cittadini.

Essere riusciti a far scendere in campo a favore del Ponte un numero di cittadini ben superiore a quello dei ricorrenti era stato il primo, grande successo per i sostenitori dell’opera, in particolare per Rete Civica per le Infrastrutture nel Mezzogiorno, che si è spesa moltissimo per ottenere questa grande mobilitazione. L’avvocato Fernando Rizzo, che insieme al collega Andrea Vadalà ha curato questo contro-ricorso con ammirevole competenza, in diverse conversazioni con chi scrive aveva previsto la bocciatura il fallimento dell’azione legale nopontista con largo anticipo, evidenziandone l’infondatezza.

Il Tribunale ha totalmente respinto le tesi dei ricorrenti

In effetti, come si legge nella motivazione della sentenza, il Tribunale ha totalmente respinto le tesi dei ricorrenti, dichiarando il ricorso inammissibile e mettendo in luce i numerosi errori commessi nel proporlo. Innanzitutto, la loro posizione è risultata carente di prove concrete. Sebbene abbiano affermato di essere residenti o proprietari di immobili nelle aree coinvolte dal progetto, non hanno fornito alcun documento che lo dimostrasse, come certificati di residenza o atti di proprietà. Inoltre, l’argomentazione secondo cui alcuni di loro “amano” il paesaggio dello Stretto o fanno parte di associazioni ambientaliste è stata ritenuta irrilevante: il “sentimento” non costituisce una base giuridica sufficiente per opporsi a un progetto di tale portata.

Il Tribunale ha inoltre sottolineato che il diritto all’ambiente, pur essendo un principio importante, deve essere dimostrato nella sua concreta compromissione. I ricorrenti, invece, non sono stati in grado di identificare alcun danno ambientale reale o imminente. Al contrario, hanno ammesso che il progetto non ha ancora superato le necessarie valutazioni tecniche, incluse le analisi di impatto ambientale. Di conseguenza, la loro iniziativa è stata giudicata prematura ed infondata, poiché basata su timori astratti e non su fatti concreti.

Un altro errore significativo dei ricorrenti è stato il tentativo di estendere l’azione inibitoria collettiva ad un contesto che non ne consente l’applicazione. Questo strumento, infatti, richiede la dimostrazione di un danno o di un rischio imminente per interessi omogenei e direttamente coinvolti. Nel caso in questione, il Tribunale ha rilevato che i ricorrenti non avevano un interesse giuridico concreto e attuale, né la legittimazione per agire.

Il Tribunale non solo ha respinto le loro richieste, ma li ha anche condannati al pagamento delle spese legali

Alla fine, il Tribunale non solo ha respinto le loro richieste, ma li ha anche condannati al pagamento delle spese legali della società Stretto di Messina S.p.A., per un importo di ben 238.143 euro “oltre oneri di legge”: a conti fatti, i 104 ricorrenti dovranno sborsare oltre 3.000 euro a testa. Una condanna che sottolinea pesantemente la solidità della posizione della società Stretto di Messina e l’infondatezza delle accuse mosse contro di essa. E sulla quale ha avuto certamente un peso la presenza, in giudizio, dei 140 sostenitori del Ponte.

L’importanza della sentenza va comunque al di là del fatto specifico. Le tesi sostenute dai ricorrenti, basate più su pregiudizi che su argomentazioni legali fondate, sono state smontate con fermezza, lasciando spazio ad una visione propositiva e concreta per il futuro del Paese.

Ricorso comuni Reggio e Villa

Questo risultato non può che far riflettere chi volesse, in futuro, intraprendere altre proditorie azioni legali. Ma anche chi ne ha già proposte altre: ad esempio il ricorso al TAR del Lazio promosso dai comuni di Villa San Giovanni e Reggio Calabria contro il parere della Commissione di Valutazione Impatto Ambientale (VIA) sul progetto definitivo. Un parere privo di efficacia giuridica (“endoprocedimentale” come dicono i giuristi), dato che il progetto non è ancora stato approvato. Non si capisce, inoltre cosa c’entri il comune di Reggio Calabria, sul cui territorio non ricade alcuna parte né del Ponte né delle infrastrutture di collegamento.

Così come appare a dir poco azzardato l’esposto presentato quasi un anno fa da ben tre leader di partiti politici (Angelo Bonelli dei Verdi, la segretaria del Pd Elly Schlein ed il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni) che, sulla base di accuse generiche, hanno chiesto ed ottenuto l’apertura di una inchiesta sull’iter di progettazione e realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. Anche in questo caso, si tratta di procedimenti in itinere o non ancora iniziati, per i quali difficilmente si possono rilevare profili di responsabilità penale.

Iniziative che, quindi, non appaiono più fondate del ricorso appena bocciato. E che probabilmente sono condotte più come “azioni di disturbo” alla realizzazione del Ponte che come battaglie destinate ad un esito positivo.

Con buona pace dei 104 cittadini di cui sopra, che dovranno far fronte ad oltre 3.000 € a testa di spese processuali dopo esser stati convinti ad aderire all’improvvida iniziativa legale… Magari da chi si è guardato bene dal parteciparvi.

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