L’ipocrisia di Giuseppe Conte: contesta l’UE per la “psicosi da guerra”, ma sul Covid ha generato solo paura

Ora Giuseppe Conte contesta l'UE per la "psicosi da guerra", ma cinque anni fa alimentava la paura del Covid con scelte illogiche e folli

StrettoWeb

Giuseppe Conte ora non grida più all’allarmismo e alla paura. Non contribuisce più ad alimentare la psicosi da “cagnolino al seguito”, da “running”, da “autocertificazione” e da zona rossa. Oggi, cinque anni dopo aver “guidato” il terrorismo mediatico che ha portato ai disastri Covid, contesta l’UE – e questa non è più una notizia – in merito al riarmo e al piano di preparazione in caso di guerra. “Teniamoci pronti: vogliono spingerci ad abbracciare la psicosi di un attacco imminente. Diffonderanno vademecum su come reagire e sopravvivere in condizioni di emergenza. Ci spingeranno a costruire bunker, ad accumulare scorte e riserve di cibo, medicine. Cosi forse sarà più facile far digerire ai cittadini un folle Piano di riarmo da 800 miliardi di euro”, commenta sui social l’ex Presidente del Consiglio.

“I cittadini dovrebbero fare scorte di farmaci per la guerra imminente? Ma lo sanno che in Italia mezzo milione di persone ha difficoltà anche solo ad acquistare farmaci nella quotidianità? Si preoccupino dei piani per affrontare l’emergenza carovita, piuttosto. Quella è reale. Vogliono convincerci con la propaganda che la minaccia russa, proprio adesso che sono in corso negoziati di pace, è più incombente e letale di sempre, e si estende all’intero continente europeo. Non aspettiamoci le scuse da Meloni e degli altri leader europei per i fallimenti sin qui accumulati. Continuano a perseverare in questa scriteriata linea guerrafondaia. Il 5 aprile tutti in piazza. Fermiamoli insieme”, aggiunge.

Le scelte illogiche ai tempi del Covid

Tutto facile, tutto bello, dai banchi dell’opposizione. E non si discute neanche la sua posizione, legittima, contro la posizione dell’Europa sulla guerra, bensì la diversità di vedute rispetto alla psicosi da non infondere alla popolazione. Non si preoccupava infatti, l’ex Premier, quando mandava letteralmente in frantumi un paese attraverso scelte illogiche, folli, che nulla avevano a che fare con il virus pandemico. Dal divieto a spostarsi in altro Comune ai ristoranti aperti a pranzo e chiusi a cena. Per non parlare delle mascherine all’aperto, dei banchi a rotelle, delle autocertificazioni, delle zone colorate che neanche i Teletubbies, delle visite ma solo ai congiunti, dei posti limitati in pizzeria e di molto altro ancora.

No, non l’abbiamo dimenticato. Per fortuna è finita, per fortuna non viviamo più quei momenti, ma oggi l’Italia ne paga ancora le conseguenze: sociali, psicologiche ed economiche. Tanti giovani, bambini e adolescenti, hanno ancora dentro le scorie di quei momenti fatti di solitudine e zero socialità. Tante persone hanno conosciuto momenti complessi, crisi di panico, sfiducia nel futuro e ipocondria. Tante attività hanno chiuso i battenti. Tante altre aziende “fantasma” sono invece nate in nome del Superbonus, il quale non ha fatto altro che contribuire all’inflazione galoppante degli ultimi anni, anche in seguito all’immissione di denaro corrente susseguente all’economia ferma per mesi e mesi. Era psicosi, era paura anche quella. Niente in confronto a quella di oggi su una guerra che non ci sarà, nel cuore dell’Europa.

Con buona pace di Giuseppe Conte, che ha bisogno di combattere una guerra – la sua interiore – seguita alla frustrazione per aver smantellato un partito che aveva illuso gli italiani attraverso – anche – i sussidi ai fannulloni che non volevano lavorare. Fa sorridere il fatto che oggi si erga a paladino della verità, a risolutore di ogni soluzione sociale, economica e politica. L’Italia oggi paga le conseguenze degli errori suoi e dei suoi “amici”. Eppure…

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