Il Prof. Siviero: “io, i ponti, lo Stretto, il Mediterraneo… per un futuro di pace. Siamo in dirittura d’arrivo” | INTERVISTA

Intervista al Prof. Ing. Arch. Enzo Siviero, Magnifico Rettore dell’Università eCampus, in merito ai temi dell'attualità

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di Alessandra Pasqua, architetto* – La presente intervista nasce da una conversazione con il Prof. Enzo Siviero su diversi temi a lui particolarmente cari, quali l’educazione dei giovani, l’insegnamento universitario, la formazione a distanza ed in presenza, la progettazione come atto creativo, l’esperienza lavorativa, i viaggi e l’incontro di nuove culture, il ruolo dell’Italia nel nuovo assetto geopolitico, il ponte e la sua duplice funzione pratica e simbolica, il ponte sullo Stretto di Messina, il ponte di umanità fra Nord e Sud Italia.

Professore, Lei è un uomo poliedrico, capace di reinventarsi, di sperimentare nuovi lavori e nuove professioni, di imboccare strade diverse da quelle già tracciate e di dare una svolta differente alla propria vita. Il tutto grazie ad un profondo senso di disciplina, che ha rafforzato da ragazzo con lo sport, praticando il nuoto, grazie alla perseveranza negli studi scientifici, che ha intrapreso con passione, e grazie anche alla sua dote innata di relazionarsi con gentilezza e cordialità con tutti coloro che hanno incrociato il suo cammino. Come e quanto la formazione in giovane età influisce sul percorso di vita?

“Una formazione corretta e sana in gioventù influisce molto positivamente sullo sviluppo di una personalità tenace e volitiva. I ragazzi che praticano sport acquisiscono maggiore consapevolezza di sé, delle proprie capacità, migliorano le abilità di relazione sociale, di cooperazione, di aiuto dell’altro. Imparano la considerazione di se stessi e dell’avversario, il rispetto delle regole e la competizione leale, basata su principi morali condivisi. La pratica di una disciplina che rispecchi i propri interessi, che sia lo sport, la scrittura, la musica, la pittura o qualsiasi altra sana passione personale, porta ad allenarsi, a superare i propri limiti, persino ad amare la sofferenza per raggiungere un determinato risultato. Si diviene temprati per affrontare le avversità, perché la vita riserva sfide continue e, se si vuole vincere, bisogna essere preparati, predisposti; bisogna essere anche pronti a perdere qualche battaglia, ad accettare la sconfitta affinché ogni battuta di arresto possa essere utilizzata per migliorare il proprio percorso di conoscenza, di sistema, di metodo e di approccio alle circostanze, anche dal punto di vista psicologico, per arrivare alla fine a raggiungere il risultato prefissato.

Io stesso ho avuto tre o quattro battute di arresto nella mia vita e ognuna di queste è diventata un trampolino di lancio per migliorare e raggiungere i risultati prestabiliti. Come sostiene papa Francesco: “Lo sport contiene in sé una forte valenza educativa per la crescita della persona: crescita personale, nell’armonia di corpo e di spirito, e crescita sociale, nella solidarietà, nella lealtà, nel rispetto”. Lo sport è prima di tutto una sfida con se stessi, un confronto pacifico con l’avversario, da cui tutti escono vincitori. Il poeta latino Lucrezio, nel De rerum natura, quando affronta il tema dei limiti della condizione umana, sostiene che il progresso dell’umanità non necessariamente favorisce un miglioramento dell’etica. Questa considerazione, sempre attuale, è valida soprattutto quando si considera lo sviluppo tecnico e il miglioramento delle condizioni di vita legati al boom economico del secondo dopoguerra e la caduta dei valori morali che li hanno accompagnati. Lo sport aiuta a non perdere di vista quei valori universali che devono guidare la vita dei singoli e dei popoli”.

Quali ricordi piacevoli conserva dei suoi anni di docente di “Ponti e Strutture” presso la facoltà di Architettura dello IUAV, a Venezia? Il rapporto fra docente ed allievi è un sistema di scambi emotivi e cognitivi, nel quale ci si arricchisce e si cresce insieme, sebbene il docente assuma la funzione di guida. Quali valori pensa di aver trasmesso ai suoi allievi?

“I ricordi da docente sono straordinari, gli studenti sono meravigliosi, sorprendenti; ne ho avuti a centinaia e, alla fine di ogni corso, quasi tutti seguivano la tesi di laurea con me, almeno buonissima parte. Questo mi consentiva di testare e di sperimentare con i miei studenti sia la loro capacità progettuale, sia la loro possibilità di interagire e relazionarsi con il docente e con gli assistenti, per pervenire sempre ad un risultato di grande livello. A volte ci sono stati anche degli studenti che sembrava non avessero particolari predisposizioni; ebbene, anche in quei casi è stato possibile tirare fuori le qualità e le abilità che non ritenevano di avere e che invece possedevano. È bastato semplicemente sollecitarli, motivarli e renderli consapevoli dell’amore e della passione per la propria disciplina per instradarli al raggiungimento del risultato prefissato, con esiti più che soddisfacenti. Molti dei progetti dei miei studenti sono stati inclusi nella mostra itinerante di tutti i lavori da me seguiti ed eseguiti, e sono molto orgoglioso di mettere insieme ai loro lavori anche i miei perché il processo creativo è stato il frutto della mia guida e del confronto partecipato.

La trasmissione del sapere, della conoscenza, la voglia e la gioia di progettare sono insite nell’azione dell’insegnamento e nel passaggio delle conoscenze di generazione in generazione. La professione dell’architetto e dell’ingegnere sono in continua evoluzione, pertanto un buon docente deve veicolare un apprendimento significativo, capace di integrare ed arricchire le conoscenze già acquisite con altre nuove. Deve insegnare ad utilizzarle in contesti diversi, più complessi, sviluppando un pensiero critico, riflessivo, capace di ideare e valutare soluzioni efficaci a problemi reali; deve insegnare ad acquisire un metodo procedurale flessibile ed adattivo. L’interazione alunno – docente passa anche e soprattutto attraverso la costruzione di un rapporto di stima e di fiducia collaborativa, basato sulla condivisione della passione per la progettazione significativa, che trasmette valori attraverso l’assolvimento di funzioni precipue”.

Nella progettazione, architettonica ed ingegneristica, si parte da un’idea che, da astratta deve divenire concreta, attraverso fasi successive. Come nasce in Lei l’atto creativo? Si presenta come un processo istintivo, d’impeto, o segue un iter razionale?

“Sembra impossibile, ma risulta istintivo per me individuare una soluzione o, per lo meno, abbozzare una soluzione ogni volta che si presenta il progetto di un ponte. Non posso dire se vi sia prima la composizione architettonica, la struttura o la costruzione; i tre processi sono congiunti, costituiscono un’operazione spontanea, intrinseca, e non so se questa si possa definire una magia, o se sia il frutto dell’esperienza, o il metodo che ho sempre adottato. Sperimentando progettualità diverse che possiedo già dentro di me, si creano disegni e sistemi che possono essere via via adattati a secondo dei luoghi. La condizione più importante è recarsi personalmente nel luogo, vederlo, viverlo, assaporarlo, poiché fonte di ispirazione sono anche l’aria, gli odori, i sapori di un territorio, il modo di fare della gente che vi abita, l’accoglienza, l’energia che vi si respira; ma anche l’ascolto dei suoni di uno spazio, perché suggerisce qualcosa, ti guida. Sono tutti fattori soggettivi, opinabili, però sono importanti emotivamente; permettono di interagire con il luogo stesso e quindi di produrre un progetto che si adatti fin da subito, o quantomeno in modo orientato, ad una soluzione armoniosa. Per questo mi piace parlare spesso di armonia dei ponti.

L’armonia consente di andare oltre il contingente, di spingersi al di là, per produrre qualcosa che resti lì, nel tempo, che, nel suo permanere e segnare un luogo, possa costituire elemento di identificazione di una comunità. Il risultato perseguito mira a far sì che, quando la gente guarda l’opera, si possa sentire appagata, compiaciuta e fiera del proprio territorio, della propria storia. La bellezza ha anche questo grande vantaggio: è pulita e irradia forza positiva. Nei ponti belli l’energia positiva la si percepisce e si interagisce con il ponte che diventa quasi un soggetto narrante, che si interfaccia con il paesaggio, soprattutto quando è un arco che si riflette nell’acqua. In tal caso la forma si può paragonare ad un occhio che guarda lo spettatore e ho cercato di trasmettere proprio questa magia ai miei studenti. Ogni atto progettuale deve sintetizzare fin da subito la bellezza, la funzionalità, la sicurezza, la fruibilità e soprattutto le modalità costruttive, sebbene questo aspetto venga spesso trascurato non solo dagli architetti ma anche a volte dagli ingegneri. È vero che “la costruzione è per tener su; l’architettura è per commuovere”, come sosteneva Le Corbusier, convinto che l’architettura sia un fatto d’arte, un fenomeno che suscita emozione, al di là dei problemi di costruzione, ma un ponte ha bisogno di modalità costruttive particolari, perché deve superare un dirupo, deve oltrepassare un fiume, o comunque degli ostacoli importanti. Quindi le tecniche costruttive costituiscono un nodo essenziale e fortemente caratterizzante l’opera.

Vitruvio enumera diversi principi di cui tener conto nella progettazione, in primis l’ordine (tàxis), che è la categoria con cui l’uomo si appropria del cosmo e lo trasferisce nel proprio mondo, nell’ambiente in cui vive. Ogni presa di possesso di uno spazio, come il costruire una casa o una città, assume un valore rituale, per il quale il mondo ordinato è visto come analogo al cosmo e si discosta dal caos, ovvero dal mondo disordinato e indifferenziato. Vitruvio definisce l’architettura come scienza che si adorna di molte discipline ed è costituita da sei categorie: ordinatio, dispositio, eurytmia, symmetria, decor e distributio; mentre i requisiti necessari sono la solidità (firmitas), l’utilità (utilitas) e la venustà o bellezza (venustas). Tutti questi requisiti, che sono i principi fondanti anche del costruire contemporaneo, diventano essenziali per discernere se certe soluzioni non siano assolutamente praticabili e impossibili nella fase realizzativa. Infatti, nelle tesi di laurea sui ponti si faceva sempre elaborare una tavola sulle modalità costruttive, anche abbozzate, accennate, non perfettamente precisate e delineate, in modo tale che lo studente si rendesse conto che la componente costruttiva è essenziale per la realizzazione del progetto”.

La sua esperienza lavorativa è lunga e ricca, svolta fra vari paesi del Mediterraneo, e dall’America all’estremo Oriente. Affascinanti sono i suoi resoconti del Nord Africa, di Istanbul e della Cina, nei quali indaga i luoghi e le persone, i panorami naturali ed i panorami umani. Da osservatore sereno e profondo, capace di cogliere l’insieme ed il singolo, quali aspetti relazionali e culturali la hanno colpita e segnata?

“Sono assolutamente convinto che la mia esplorazione dei luoghi non fosse tanto riferita ai paesi stessi o a ciò che rappresentano, ma alle persone. Quello che conta in un viaggio è il rapporto con le genti, capirne la mentalità, la cultura, le prospettive, la percezione che hanno della loro storia. È essenziale comprendere gli altri e, prima di far valere le proprie ragioni, provare ad ascoltare le loro aspirazioni, accettare ed accogliere il confronto costruttivo, edificante. Ho visitato tanti luoghi e sono rimasto impressionato dall’architettura, dalla storia, dai monumenti, ma è indiscutibile che rapportarsi con le persone è una marcia in più, è l’essenza stessa della vita. Il costruito, i paesaggi, per quanto belli e mozzafiato possano essere, rimangono cose statiche, sono lì, immutabili, anche per secoli o millenni. Le persone, invece, sono, nella loro costanza, qualcosa di incredibile, in continuo divenire, perché si modificano nel tempo ma negli aspetti fondamentali rimangono uguali.

Penso alle tradizioni millenarie contenute nella Bibbia, o nell’Iliade e nell’Odissea, che sono opere alla base della cultura occidentale; questi testi trasmettono e testimoniano valori condivisi ancora oggi ed altri superati dalla cultura della pace e dell’aiuto reciproco, introdotti dal Cristianesimo. Nei testi antichi l’odio e l’amore sono in perpetua contrapposizione e determinano i rapporti umani. Ecco, l’odio e l’amore devono essere superati da un ponte umano caratterizzato dal coraggio di andare dall’altra parte, di incontrare persone diverse per cultura, etnia, religione e che immaginiamo ostili, nemiche, a causa della paura, del timore del confronto con il diverso, quando invece non è assolutamente così. Nei luoghi cerco di cogliere la cultura, i modi di essere, i modi di vivere, la visione del mondo, della vita, del futuro. Non mi stupisco, comprendo, rifletto e cerco di imparare anche che la diversità è una ricchezza. Il confronto costruttivo deve essere veicolato da una cultura comune che è quella dell’humanitas, e non quella della violenza, della contrapposizione, della guerra. Purtroppo, proprio la guerra ha caratterizzato millenni di vita dell’umanità.

Invece, l’accoglienza, l’incontro e soprattutto il saper ascoltare sono doti indispensabili per la convivenza pacifica; dovremmo essere educati all’ascolto. Nei miei viaggi ho avuto modo di visitare tutti i continenti, tranne l’Australia; sono arrivato fino a Singapore e da ogni luogo visitato ho potuto trarre un insegnamento, ovvero che in realtà siamo tutti molto simili, le corrispondenze prevalgono rispetto alle differenze, che non sono poi così importanti e determinanti come si pensa. Basta semplicemente cercare di capire, di approfondire, di avere la pazienza e l’umiltà di rendersi conto che gli altri sono come noi, se non in certi casi migliori di noi stessi”.

La congiuntura storica che stiamo vivendo è particolarmente delicata e gli equilibri stabiliti dopo il secondo dopoguerra sono in via di ridefinizione. Il nostro paese è la settima potenza industriale del mondo e primeggia nel campo della cultura, dell’arte e delle tradizioni. Con quali Paesi e che tipo di rapporti deve consolidare e sviluppare l’Italia di oggi, per ritagliarsi un ruolo di leadership a livello internazionale?

“Questa domanda è particolarmente interessante perché si tratta di capire quale sarà il nostro futuro che, purtroppo, non si basa solo sul nostro passato, apparentemente messo da parte, non considerato. La nostra vocazione è il Mediterraneo, come paese, come sistema Italia. L’Europa deve aprirsi al Mediterraneo, come è già avvenuto in passato con la dominazione ed il controllo delle coste imposti dall’Impero Romano. In quel periodo storico si è messo in atto un modello di egemonia coniugato al cosmopolitismo, alla tolleranza verso culture differenti. L’Impero Romano ha avuto imperatori provenienti dalle province e, successivamente, nella prima cristianità, vi sono stati papi, santi e martiri provenienti dal Nord Africa. In epoche successive con le Repubbliche marinare e Venezia in particolare, l’Italia si è proiettata come un grande molo verso il Mediterraneo. Questo mare lo si può considerare come un ponte liquido, è un paradosso, forse anche un ossimoro, però significa semplicemente che le connessioni secondo gli assi Nord – Sud ed Est – Ovest del Mediterraneo sono fondamentali. Oltre agli aspetti storici e geografici, bisogna tener conto degli aspetti politici; l’Italia ha relazioni più dirette con la Libia, ex colonia italiana, con la Tunisia, per la sua vicinanza alla Sicilia, e con gli altri paesi del Nord Africa, per via di accordi riguardanti l’importazione di idrocarburi.

Gli Italiani godono della stima di tali paesi, per via di rapporti culturali e commerciali di lungo corso, mentre altri paesi europei non godono di una pari considerazione. Oggi la Tripolitania è in mano ai Turchi e la Cirenaica è in mano ai Russi. Purtroppo gli stati europei non hanno interesse a stabilizzare i governi dei paesi africani, anzi, vi sono diverse multinazionali che hanno tutto l’interesse a scatenare violente e sanguinose guerre tribali pur di controllare e mettere mano su giacimenti importanti di idrocarburi e di terre rare, indispensabili quest’ultime per lo sviluppo digitale. Del resto, non è un mistero che il presidente turco da qualche decina di anni, stia riproponendo il modello dell’impero ottomano, sebbene in forma diversa, nel senso di espandere la propria leadership su altri paesi musulmani confinanti e non solo. Il governo italiano sta mettendo a punto un nuovo piano Mattei, che non deve limitarsi a stringere accordi energetici bilaterali diretti con i paesi nordafricani, ma deve comprendere anche e soprattutto uno scambio culturale, per riprendere e valorizzare le posizioni di stima e di credito che avevamo nel passato, non come colonizzatori, ma come soggetti che interagiscono in maniera costruttiva in quei luoghi.

Da questo punto di vista, la politica dell’ENI di Mattei era fondamentale perché ha sempre cercato di coinvolgere i governi locali e le popolazioni, interagendo positivamente non solo con il rapporto commerciale legato all’estrazione degli idrocarburi, ma facendo crescere anche l’economia e la consapevolezza di una autonomia culturale, politica, amministrativa, economica dei singoli popoli rispetto agli altri. La colonizzazione ha creato discrepanze, disuguaglianze, violenza, sofferenza. Oggi i rapporti fra paesi devono essere imbastiti in modo completamente diverso, alla pari, nel pieno rispetto delle parti. L’Italia ha possibilità in più rispetto agli altri paesi, per via della sua Storia, intrisa di confronti, di incontri e di scontri continui con tutti i popoli europei e del Mediterraneo. Possiamo osservare che l’Africa è ormai in gran parte colonizzata dalla Cina, che ha operato, dal punto di vista economico, una dipendenza peggiore di quella del periodo coloniale, basata sullo sfruttamento delle popolazioni e delle risorse, sull’imposizione delle proprie merci e dei propri mercati. Non è un caso che da tempo io abbia proposto e previsto anche un ponte fra la Tunisia e la Sicilia, come possibilità di collegare i due continenti: quello antico, l’Europa, e quello giovane, l’Africa. I termini antico e giovane si riferiscono al capitale umano, alla politica ed alla Storia dei due continenti. Nel rapporto nonno – nipote, l’Europa è il nonno e l’Africa è il nipote, non solo per media anagrafica, ma perché l’Europa può insegnare tanto all’Africa. La politica sociale ed economica europea, basata sui 17 obiettivi di Agenda 2030, insegna che lo sviluppo sostenibile passa attraverso un’economia etica oltre che ecologica, basata sul rispetto della dignità delle persone. Pertanto risulta fondamentale la promozione della pace fra le nazioni africane che devono trovare un accordo di serena convivenza e una intesa sullo sviluppo della cultura e dell’economia.

I paesi con cui l’Italia dovrebbe interloquire maggiormente non possono che essere la Libia e la Tunisia, cui si può aggiungere l’Egitto, che conta 120 milioni di abitanti ed ha potenzialità straordinarie. Verso Ovest sono da considerare anche l’Algeria e il Marocco; verso Est, invece, Israele, il Libano, la Palestina, fino alla Siria e alla Turchia. Molti di questi paesi, come per esempio la Turchia, hanno delle fondamenta Greche e Romane, che non vanno trascurate, anzi costituiscono il substrato su cui costruire nuove, proficue e concrete relazioni. In questo contesto proprio l’archeologia potrebbe essere l’elemento unificante della politica estera, perché noi siamo in base a quello che siamo stati e saremo sulla scorta di come siamo oggi. È chiaro che l’archeologia ci dà l’indicazione di quello che siamo stati, di quello che abbiamo condiviso, che abbiamo costruito insieme nel passato. Di questo costituiscono testimonianza tangibile i monumenti, i siti, i beni materiali ed anche quelli immateriali legati alla cultura, come il patrimonio dell’ordinamento politico, la democrazia nata in Grecia, e l’ordinamento giuridico, il diritto romano”.

Un ponte favorisce lo scambio di conoscenze e di culture fra i popoli, incoraggia la fratellanza, l’amicizia, la solidarietà, permette di superare ostacoli e barriere naturali che isolano le comunità. Lo scambio relazionale, il confronto in presenza sono più che mai necessari nella società attuale, liquida e virtuale, per consolidare e materializzare connessioni e reti?

“Il ponte, anche in senso metaforico, rappresenta l’unione, la fratellanza, l’amicizia, l’amore, la mutua comprensione, perché permette la connessione reciproca. Questo collegamento consente di creare una intelaiatura di rapporti fra vicini e di capirsi. Il ponte, oltre che struttura fisica di collegamento, è metafora di confronto. La parola chiave, rappresentativa del nostro essere, risulta essere proprio il ponte, che unisce, che fa conoscere l’altro, che aumenta la conoscenza dei luoghi e delle persone, che annulla le distanze, che supera gli ostacoli, che produce la condizione di andare “oltre l’oltre”, nel significato di sfidare ed osare l’impossibile. Ciò che apparentemente sembra non raggiungibile è superabile attraverso l’ingegno umano e la grande volontà che ha l’uomo di costruire il futuro, ed ecco che il ponte rappresenta proprio la realizzazione dell’avvenire. La presenza di un ponte costituisce la condizione per l’esistenza della pace. L’assenza del ponte o un ponte crollato è l’indicazione della guerra, dei conflitti, della separazione.

Il rapporto unione – separazione regola in positivo o in negativo le relazioni umane, è un binomio difficile da controllare e regolamentare e a volte si discosta dalla pace e sfocia nella guerra. Purtroppo i conflitti continuano ad esserci, con una strumentalizzazione ipocrita che interrompe ed impedisce un dialogo significativo. È un paradosso il fatto che le guerre siano decise da chi governa, ma chi poi ne subisce le conseguenze sia il popolo. Lo si constata regolarmente, lo abbiamo visto nel passato e purtroppo ne siamo testimoni anche oggi. Come sostiene Papa Francesco, la guerra è sempre una sconfitta. Ma quando la volontà di potenza e soprattutto le questioni economiche prendono il sopravvento, ahimè, l’umanizzazione diviene un concetto vuoto, qualcosa di dichiarato, ma non di praticato. L’economia mondiale è in mano alla finanza che influenza e condiziona anche i governi; si sa che determinate decisioni politiche sono indicate da chi ha denaro sufficiente a subordinare la vita di interi popoli. Ritornare alla percezione filosofica del significato della vita, dell’esistenza, è un elemento fondamentale dal quale non si può prescindere. Oltretutto la Storia è scritta dai vincitori che raccontano gli eventi secondo una visione orientata all’autocelebrazione, alla giustificazione e alla motivazione della violenza, che non necessariamente corrisponde al vero.

Se si guardano gli eventi nel mondo da una prospettiva distaccata, ci si rende conto di quante ideologie, stereotipi e preconcetti vi siano nella nostra conoscenza. Bisogna lavorare cercando di capire non solo quello che viene raccontato dai media o dalla politica, ma interpretando la realtà in maniera autonoma e consapevole, con una comparazione delle varie fonti, che è estremamente interessante ed utile per capire l’oggi e quindi proiettarsi verso il domani. Quando ci si pone il quesito dell’interpretazione della realtà, si presenta una problematica conoscitiva, che presuppone la distinzione tra realtà e conoscenza. Pertanto, interpretare la realtà non può consistere nel proiet¬tarvi sopra un’idea, o nel descrivere il fenomenico senza un certo distacco rispetto al fatto stesso, e nemmeno nel soffermarsi agli eventi come appaiono, senza scavare nel profondo, senza ragionare sulle cause. La realtà che viene interpretata è la realtà di chi interpreta, del soggetto che riflette, che si interroga.

L’esplicitazione delle ragioni che sottendono ad un fenomeno deve essere in consonanza con la verità. Quando una realtà dinamica, un fatto storico, politico, religioso vengono interpretati a partire da una conoscenza, da un’ideologia, o da una fenomenologia, si giunge a un punto in cui la realtà storica supera l’interpretazione, perché la verità è qualcosa che esiste in sé ed ha una forza intrinseca che la spinge ad emergere. L’atteggiamento conoscitivo deve, quindi, riuscire a cogliere le dimensioni del particolare e dell’universale e il confronto in presenza sicuramente è alla base delle relazioni, ma la tecnologia è a servizio anche di quelli che non hanno la possibilità di spostarsi o che non hanno la disponibilità economica per farlo; la digitalizzazione delle connessioni è anche e soprattutto un processo ed uno strumento democratico di partecipazione”.

Oggi riveste il ruolo di Rettore dell’Università telematica eCampus. La dicotomia fra realtà virtuale e vita reale si deve superare facendo leva sugli aspetti positivi che l’informatica ha apportato nella società contemporanea. Quali vantaggi e quali aspetti ritiene prioritari per lo sviluppo della ricerca?

“Sono rettore dell’Università telematica eCampus da 9 anni e quando ho accettato di fare il Rettore avevo qualche perplessità, durata in verità pochi giorni, perché ho subito iniziato a riflettere su quale università immaginavo per il futuro. Tra l’altro, si tratta di un ateneo che io conoscevo molto bene avendo trascorso 9 anni nel Consiglio Universitario Nazionale (CUN), di cui 6 da Vicepresidente, oltre ai 44 anni di carriera accademica allo IUAV di Venezia. Ho sempre cercato di capire il mondo universitario al di là della mia specifica disciplina o della mia area.

Il futuro, per come si è delineato in questi ultimi anni, non può non passare attraverso l’insegnamento on line, non totale, io non sono un fautore della totale distanza. Ritengo che il sistema blended sia quello più produttivo se regolamentato, perché anche la presenza, lo scambio fisico e diretto, ha un valore imprescindibile. Il sistema di insegnamento più praticato è quello della lezione frontale, che però crea una certa distanza fra docente e discente, un distacco difficile da gestire e ridurre. Ricordo che, quasi 60 anni fa, quando mi ero iscritto all’università, parlare con un professore era veramente un’impresa. Invece, oggi, nell’università telematica le relazioni fra docenti e discenti si basano su un sistema di tutoraggio molto proficuo e consolidato, per cui lo studente è assistito con sollecitudine e, se ha un problema, invia una email e questa viene immediatamente recepita o dal professore o da i suoi assistenti che svolgono un ruolo fondamentale di filtro e di supporto.

I cosiddetti tutor on line, chiamati TOL, sono quelli che sostengono, aiutano, indirizzano, rimuovono gli ostacoli veri o presunti che siano. Da questo punto di vista, l’università telematica ha un elemento in più, ovvero paradossalmente è più vicina delle università tradizionali. In più c’è un altro aspetto, fare carriera oggi in ambito universitario prevede, con il sistema dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR), una valutazione incentrata quasi esclusivamente sulla ricerca e non considera la didattica e tutte le attività correlate, mentre la valutazione dovrebbe tener conto di tutti gli aspetti della docenza universitaria. Un tema importante è quello relativo alla distanza fra il mondo della formazione e quello del lavoro che nelle università tradizionali difficilmente viene colmata, più che altro si dichiara la necessità di ridurre questo gap, ma nei fatti si concretizza poco, anche perché c’è un certo impedimento per i professori universitari di praticare la professione libera o vincolata che sia, con il risultato di separare teoria e pratica.

Dunque, credo che il futuro della formazione passi attraverso un sistema blended, con inserimento di seminari intensivi. Nelle poche ore a settimana di docenza i saperi vengono spezzettati e fra una lezione e l’altra si perde il filo del discorso; sicuramente è meglio lavorare in un periodo intensivo, partendo da zero fino ad arrivare ad un risultato. Io ho avuto esperienze straordinarie da questo punto di vista, con gruppi di lavoro anche in Cina, composti da studenti che partono dalle basi, senza nessuna cognizione sulla progettazione di un ponte e dopo diversi giorni di insegnamento e di interazione producono progetti di grande qualità. Naturalmente, stare insieme sei, sette ore al giorno, possibilmente con una didattica verticale e non orizzontale, che significa avere studenti di diverse annualità, insieme ai dottorandi, con corsi trasversali fra architetti e ingegneri, cooperando insieme, si concentrano tutti i vantaggi di un approccio transdisciplinare, in un contesto in cui non c’è una prevaricazione di una categoria rispetto ad un’altra, ma c’è una collaborazione continua che consente agli studenti di crescere e ai docenti di trasmettere il sapere vero, quello che è a tutto campo.

In fondo, il progetto è un unicum e non c’è un solo soggetto che singolarmente gestisce il tutto; si configura una interazione complessiva del gruppo, poiché concorrono diversi ambiti specifici, anche se ovviamente c’è un leader, o un professore che guida, organizza e coordina il sistema come un direttore d’orchestra e questo parallelismo con la musica mi sembra particolarmente efficace”.

Attualmente si presenta per la città di Reggio Calabria la possibilità di ospitare due meraviglie del mondo contemporaneo, il Museo del Mare, una delle ultime opere progettate da Zaha Hadid, che caratterizzerà il disegno del nuovo water front della città, ed il Ponte sullo Stretto, volto a mutare definitivamente il paesaggio di questo braccio di mare. Tali luoghi evocano tanti miti, il νόστος di Ulisse, i mostri di Scilla e Cariddi. Come coniugare la modernità con l’eredità storica e mitica dei luoghi?

“Il tema del ponte sullo Stretto è un tema straordinario. Credo che in assoluto sia la questione più importante per i prossimi 8 o 10 anni. Il ponte sullo Stretto è un argomento di una forzatura culturalmente elevata di cui oggi si avverte fortemente la necessità, sebbene si sentisse già 50 anni fa, quando sono stati banditi i primi concorsi internazionali. Si sa che la componente politica, purtroppo, ha prevalso sulla componente tecnica, comunque siamo in dirittura di arrivo. La metropoli dello Stretto è stata già teorizzata da Giuseppe Samonà, l’unico rettore dello IUAV di Venezia di origine siciliana, come un unicum in cui Scilla e Cariddi paradossalmente si danno la mano attraverso le due torri del ponte di Messina”.

“La riqualificazione complessiva sul water front di Reggio Calabria è iniziata già qualche decennio fa, con il sindaco Falcomatà, padre dell’attuale sindaco, che ha avuto la grande intuizione della copertura della linea ferroviaria e della realizzazione di una passeggiata straordinaria, affiancata da alberi secolari bellissimi e di pregio, da un lato, e dal panorama dello Stretto, dall’altro. È un tratto di costa che ho avuto il piacere di percorrere diverse volte e la presenza del Museo Archeologico Nazionale in prossimità costituisce un plus che arricchisce l’intera area, se lo si legge come uno scrigno che custodisce tante collezioni preziose. L’insieme descritto è un esempio di valorizzazione e di sviluppo sostenibile che ha cambiato il volto ed il futuro della città di Reggio Calabria, partendo dal recupero del paesaggio e dalla promozione dei beni culturali. Purtroppo non si può dire altrettanto di Messina, il cui water front non è mai stato curato, sebbene il panorama che si può godere nel tratto fra Messina e Ganzirri sia altrettanto meraviglioso”.

Il progetto del ponte sullo Stretto di Messina, una struttura strallata a campata unica, dalle dimensioni titaniche, un vero e proprio gioiello di ingegneria, ardito, avveniristico, ci lascia increduli, attoniti. Quali ricadute significative può apportare sul territorio?

“La costruzione del ponte offre diverse opportunità e ricadute territoriali di cui si parla troppo poco, in special modo per la città di Messina, dove si prevede lo spostamento della linea ferroviaria, con la riqualificazione delle aree lungo la linea di costa e del bellissimo porto a forma di falce, che costituisce l’ingresso dal mare della città e che rievoca anch’esso miti e storie dell’antichità. Importante è la riqualificazione complessiva e la messa in sicurezza del territorio perché sono previsti 40 km di strade e ferrovie di raccordo di tutto il sistema, che consentono di liberare la città dal traffico veicolare, specialmente quello pesante, e rendere la città più vivibile e godibile. L’intero investimento di 13 o 14 miliardi non è destinato soltanto per la realizzazione di un’opera singolare, ma costituisce il punto di partenza per una riprogettazione territoriale in cui la polarità delle persone cambia.

Si prefigura una situazione in cui il cittadino comune non attende più che sia lo Stato a risolvere i suoi problemi, ma cambia prospettiva e mette se stesso in condizione di operare e di intraprendere, con un salto di qualità e di mentalità. Ci sono diversi investitori interessati al progetto ed al territorio; basta fare incontrare la domanda con l’offerta per soddisfare in maniera equa e corretta tutti gli interessi degli stakeholders. In Italia difficoltà oggettive sono rappresentate dall’eccessiva burocrazia, con lunghi passaggi formali che frenano e rinviano decisioni importanti e strategiche, disincentivando gli imprenditori bisognosi di concretizzare in tempi veloci. Diverse volte si è assistito alle rinunce e ai rinvii, questa volta potrebbe essere diverso”.

I ponti di Istanbul sono collocati sulla faglia euroasiatica, che attraversa lo Stretto dei Dardanelli ed il Bosforo. Questo ha una larghezza variabile da 1 a 3 km, per una profondità che varia fra i 30 e i 40 m. Il ponte di Messina dovrà attraversare la faglia fra Africa ed Europa, coprire 3 km di campata su un braccio di mare profondo fino a 1.000 m. Quali sono i punti in comune e le differenze fra i ponti di Istanbul e il ponte di Messina dal punto di vista strutturale? Quali le sfide?

“I punti in comune fra Istanbul e Messina sono dovuti al fatto che siamo in presenza di zone sismiche molto simili, forse addirittura il caso di Istanbul è più delicato di quello di Messina. La differenza sostanziale consiste nella dimensione: un ponte di 2.000 m e un ponte di 3.300 m sono ben diversi dal punto di vista del comportamento, sebbene l’impostazione sia la stessa. Si può considerare il ponte di 3.300 m come l’evoluzione del ponte di 1.300, 1.500 m. In più il ponte di Messina è anche ferroviario mentre i ponti di Istanbul sono stradali, tranne che per il terzo ponte costruito, che è ferroviario ma ancora non in esercizio. Proprio l’esempio della città di Istanbul dovrebbe costituire un riferimento per non avere timori e quindi osare, sapendo perfettamente di ardire controllando la situazione, valutando tutti i rischi possibili ed immaginabili, con l’esperienza della modellazione.

Oggi con la modellazione si può fare tutto; l’uomo è andato sulla Luna, tra qualche anno andrà su Marte, non ci si può fermare per i timori legati al compimento di un salto di qualità. È un progetto assolutamente fattibile, verificato; gruppi di ingegneri e scienziati hanno lavorato insieme, in squadra con imprese internazionali, come la Webuild, che hanno costruito centinaia di ponti in giro per il mondo. Quando un’impresa studia la fattibilità vuol dire che il salto di qualità c’è stato, vuol dire che l’opera è realizzabile. Dal punto di vista economico, società del settore pubblico e privato, anche quotate in borsa, sono pronte ad investire, dopo aver già effettuato il controllo della bancabilità, delle società e della revisione. Siamo di fronte ad una compagine di centinaia di soggetti con un curriculum di altissimo livello; le polemiche di alcuni professori universitari, che forse hanno realizzato qualche ponte nella loro vita, certamente non a livello esecutivo, che hanno condotto in genere soltanto studi di carattere teorico e non pratico, sono fuori luogo, non possono sostenere che il ponte non sia fattibile, non ne hanno i requisiti; è un affronto verso chi se ne sta occupando, un’offesa alla italianità ed alla capacità degli attori coinvolti.

Come tutte le costruzioni è soggetta ad una ipotesi di rischio, non la si può proteggere da un meteorite che casca sopra o da una bomba; si tratta di eventi eccezionali. Si stanno prendendo tutte le misure di sicurezza per la fase di esercizio e anche per la manutenzione di cui si parla poco, che invece è un altro elemento estremamente importante per i costi e la compatibilità economica. È una grandissima sfida, ma è una sfida che abbiamo già vinto a priori, ancora prima di cominciare: tutto è già pianificato in modo quasi totale. In tempi ristretti si avrà l’approvazione del documento di VIA definitivo e entro l’estate l’avvio dei cantieri che saranno presumibilmente 15 o 20, quindi nel giro di circa 8 anni il ponte ci sarà. Il 2033 non è una data impossibile, certo se fossimo in Cina o in Turchia o in Egitto i tempi sarebbero stati dimezzati.

Come già successo nel caso del ponte di Genova, si possono velocizzare i tempi soltanto bypassando tutte le procedure burocratiche che in Italia, ahimè, sono un orpello ingestibile; alla fine c’è sempre qualche adempimento da soddisfare che non era stato programmato, oltre a eventuali ricorsi al TAR. L’Italia è il paese dove costruire è praticamente impossibile; il fare è la vita, il non fare è la morte. La decrescita felice non è assolutamente immaginabile. Per chi vuole saperne di più e rendersi conto della straordinarietà dell’opera, sul sito della Webuild Group sono pubblicate le caratteristiche tecniche del ponte: campata sospesa centrale di 3.300 m; lunghezza complessiva di 3.666 m (comprese le due campate laterali di 183 m ciascuna); altezza delle torri sulle due sponde di 399 m; 4 cavi di sospensione del diametro di 1,26 m (ciascuno formato da 44.323 fili di acciaio); larghezza dell’impalcato di 60,4 m (3 corsie stradali per senso di marcia, 2 corsie di servizio e 2 binari ferroviari); franco navigabile di 72 metri per una larghezza di 600 metri che, in condizioni ordinarie di esercizio, a pieno carico delle corsie stradali e con due treni passeggeri in contemporanea raggiunge i 70 metri; apertura al traffico 365 giorni l’anno, 24 ore al giorno; vita utile di 200 anni.

Le opere stradali e ferroviarie di collegamento del ponte al territorio comprendono 40 km di raccordi viari e ferroviari, di cui circa l’80% sviluppati in galleria, e collegheranno, dal lato Calabria, l’autostrada del Mediterraneo e la stazione ferroviaria di Villa San Giovanni e, dal lato Sicilia, le autostrade Messina-Catania e Messina-Palermo e la nuova stazione ferroviaria di Messina. Il ponte e i collegamenti a terra sono in grado di resistere ad un sisma di magnitudo pari a 7,1 della scala Richter. I ponti sospesi sono strutture con la caratteristica di indifferenza ai terremoti grazie alla loro sostanziale estraneità alle frequenze delle azioni sismiche. Il potenziale sismogenetico dell’area dello Stretto storicamente ha prodotto terremoti di magnitudo massima di 7,1 della scala Richter, che corrisponde a quella considerata per il progetto per il ponte con un sisma di questa magnitudo, il ponte rimane in campo elastico senza subire danni. Il terremoto del 1908 (7,1 Richter) è stato classificato come un evento estremamente raro con tempi di ritorno di oltre duemila anni.

Grazie alle caratteristiche del profilo alare dell’impalcato, il ponte è stato progettato per resistere a venti con velocità fino a 216 Km/h, anche se in oltre venti anni di monitoraggi eolici effettuati da un centro meteo locale non è mai stato misurato un valore medio della velocità del vento superiore a 108 km/h, ai 70 metri del livello dell’impalcato, e di circa 130 Km/h, alla quota di 128 metri, che corrisponde alla quota della stazione anemometrica di Torre Faro. Prove in galleria del vento hanno permesso di verificare l’attraversamento della struttura, consentendo un regolare svolgimento del traffico stradale e ferroviario per tutto l’anno. L’analisi statica è stata calcolata con la presenza di quattro treni di 750 metri, due treni su ciascun binario”.

Lei si definisce un uomo del Nord con il cuore che batte al Sud ed ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Africo. Come mai? Vuole raccontare questa sua esperienza?

“Ad Africo c’è un polo eCampus, magistralmente gestito dall’avvocato Giandomenico Stilo, il quale mi aveva proposto di allestire presso il suo paese la mia mostra sui ponti. In tale occasione ho avuto modo di incontrare anche il sindaco che mi ha esternato la disponibilità per il conferimento della cittadinanza onoraria, iniziativa che ho subito abbracciato con entusiasmo perché mi sembrava una attenzione particolarmente gentile. Tantopiù perché il comune di Africo è uno dei più bersagliati dal punto di vista dei commissariamenti, un tipo di provvedimento retaggio del Codice Rocco del 1930. Diversi comuni vengono commissariati senza dare ai soggetti coinvolti la possibilità di interloquire a propria difesa. Si tratta di una operazione vessatoria che non solo non risolve il problema ma complica la gestione del territorio, poiché per un paio di anni la macchina burocratica si riduce alla sola amministrazione ordinaria e non si attua un piano di sviluppo e di crescita dei luoghi a favore delle comunità.

Aumenta la disaffezione degli individui verso la politica, visto che è un forte deterrente per le persone a candidarsi perché il rischio di venire inquisiti è elevato. La connessione spaziale fra un uomo del Nord ed il profondo Sud è germogliata grazie alla presenza del polo universitario eCampus, collegato a sua volta al polo didattico nato sui principi della “Serena Juventus” di Don Stilo, un prete che ha fondato un’agenzia educativa fortemente radicata nel territorio, sebbene sia stato inquisito, fino ad essere costretto a chiudere la struttura che adesso versa in uno stato di fatiscenza e di degrado, anche perché è di grandi dimensioni e non si ha la possibilità di riconvertirla per altri usi e scopi. Questo gemellaggio di natura formativa è diventato un’associazione di anime, di culture, di visioni della vita e del futuro, che accomuna tutti gli italiani. Io sono veneto e il mio sentire è molto simile e vicino agli uomini del Sud, perché i bisogni e le aspirazioni ci accomunano e la cittadinanza onoraria è il segno che si è costruito un ponte di umanità. Il sistema Italia funziona in un’ottica di collaborazione e non di conflitto, di incontro e non di scontro, di comunione e non di esclusività. La politica e tutto il fare umano devono promuovere l’individuo e la sua dignità, in ogni latitudine”.

*Alessandra Pasqua è Architetto, laureata con lode presso l’UniNa “Federico II”. È Dottoranda in “Medium e medialità” presso eCampus. È docente presso il Liceo Classico “P. Galluppi” di Catanzaro e libero professionista. Ha scritto articoli di Architettura, Storia e Archeologia calabrese in diverse riviste culturali; svolge collaborazioni esterne con l’UniCal e con l’Ordine degli Architetti di Catanzaro.

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