Torniamo a guardare ai nostri padri finché siamo in tempo.

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Ho avuto la fortuna di incontrare Giulio Andreotti due volte nella vita ed in entrambi i casi l’ho incrociato a Rimini ad un Meeting. La prima volta che l’ho ascoltato ero giovane come l’acqua, avevo vent’anni, la seconda ne avevo il doppio e cioè quaranta. A vent’anni l’ho fischiato, a quaranta l’ho ascoltato in religioso silenzio. Durante i miei primi quarant’anni eravamo in piena seconda Repubblica e cioè nella totale sperimentazione di governi che, si sperava, riuscissero ad assestare politicamente ed economicamente il paese.

Lo stratega raccontò un aneddoto e cioè narrò di quando era un giovane studente liceale e con i suoi compagni di scuola, in fase post Costituente, andava ad ascoltare le sedute di un Parlamento postbellico nuovo di zecca.

Andreotti raccontava di parlamentari litigiosi e dispettosi come i bambini che si azzuffavano, si insultavano e alla fine si stringevano la mano perché ciò che prevaleva “Allora “era il rispetto per la persona e la stima umana e politica dell’avversario.

Lo statista diceva: “I Parlamentari litigavano, si arruffavano, decidevano, si accordavano e noi li guardavamo. Li “guardavamo” perché erano i nostri “padri” e ai padri si guarda, perché dai padri si impara.

Andreotti cercava di spiegare a quei giovanottoni rampanti e politicanti di nuovo pelo, presenti al Meeting, di guardare ai vecchi politici, perché per quanto pasticcioni, corrotti, indagati fossero, in fondo, avevano segnato e tracciato per oltre un cinquantennio la storia politica e istituzionale del nostro paese.

Ovviamente, i giovani rampanti e politicanti di nuovo pelo, fecero quello che feci io quando avevo vent’anni e cioè lo fischiarono e ovviamente sempre sti giovani rampanti e politicanti di nuovo pelo andarono al governo e fallirono. Fallirono perché c’era un elemento nuovo che li caratterizzava ed era l’arroganza dell’idolatria del proprio “Io”.

Ed è l’idolatria del proprio Io che, secondo me, ha fatto sì che io, come educatrice , abbia compilato per anni  Piani educativi individuali, Piani didattici personalizzati e che abbia assistito al proliferarsi di Bambini con bisogni speciali, alunni con Disturbi specifici di apprendimento e così via, sono anni che somministro strumenti compensativi e dispensativi e anni  che la scuola cerca di mettere una toppa ai fallimenti individuali e collettivi di generazioni che corrono fino a spezzarsi le gambe per stare al passo coi tempi.

Ora, io mi sono mossa, lavorativamente, fuori dal mio contesto d’origine, ho lavorato in una grossa società industrializzata, ed ho assistito a tempi che esaltano l’“Io”, innalzano gli standard, richiedono prestazioni lavorative inumane.

Prestazioni che non guardano l‘uomo, i suoi limiti, la sua umanità, la sua fragilità, i suoi tempi. Non li guardano perché questi non rientrano negli obiettivi aziendali, nella razionalizzazione dei tempi e delle risorse.

L’industrializzazione massiccia e improvvisa degli anni sessanta ha fatto sì che le vecchie famiglie patriarcali venissero soppiantate dalle famiglie nucleari, adesso, di fatto, queste ultime hanno subito una specie di scissione del nucleo che ha dato origine a tanti individui isolati che a volte, si muovono all’interno dello stesso nucleo familiare.

Tanti “Io” isolati all’interno dello stesso nucleo.

Non penso però che la realtà scolastica del nostro paese meno industrializzato sia molto diversa dalle realtà del Nord Italia. Non lo penso proprio.

Mi chiedo quante persone si interrogano su come stanno realmente i propri i figli. Quali sono le loro paure, quali le loro aspettative, quali modelli seguono, quale musica ascoltano. Mi chiedo come può un nove o un dieci tacitare le coscienze di molti genitori. Mio figlio ha nove, dieci, allora va tutto bene. Non importa se poi in gruppo bullizza il compagno di scuola e poi posta il video su internet. Quello non c’entra con il suo percorso scolastico, magari è solo un incidente di via.

Ora, come si può cogliere l’invito che Andreotti, il vecchio statista e stratega, faceva ai giovani del Meeting e cioè guardate ai padri per il futuro bene del nostro paese, quando i padri non riescono a guardare ai propri figli? E come possono i figli guardare a dei padri che razionalizzano il tempo per andare in bicicletta o per pescare?

Ora, io non sono una sociologa, sono solo un’educatrice che lavora e osserva e non azzardo soluzioni, posso solo riflettere e pormi delle domande, anche perché quando si è provato a scardinare questo sistema, si è rischiato di scardinare un sistema socio-politico-economico estremamente strutturato.

Un sistema estremamente strutturato perché affondava le sue radici su tanti  “Io” destrutturati.

Ora, è bastato un virus particolarmente tenace per piegare il delirio di onnipotenza che una volta era solo dei pazzi e nell’ultimo quarantennio, ha caratterizzato tutta la società occidentale. Improvvisamente nel periodo Covid, si è riscoperta la solidarietà tra vicini, la fede, l’amicizia, nel post Covid è sparito tutto.

Prima del Covid ed esattamente trent’anni fa Giovanni Testori scriveva: “Vivremo tempi più spietati e più crudeli dei tempi del nazismo, vivremo ancora e assisteremo ancora alla scristianizzazione dell’uomo”.

La Scristianizzazione dell’uomo e cioè l’uomo senza Cristo e cioè l’uomo che non riconosce Cristo che si è fatto Uomo. Come si può guardare ai padri se non si riconosce il Padre che si è fatto Uomo per l’Uomo?

Ma riconoscere l’Uomo, i suoi tempi, i suoi limiti, le sue fragilità non rispondeva agli obiettivi aziendali, non era “produttivo”, il tempo per porsi queste domande rallentava la “produzione” e “l’efficienza aziendale” nel raggiungimento dei propri obiettivi personalissimi ed estremamente egoistici.

Come si poteva chiedere ad un figlio come stesse se questo rallentava l’acquisizione di concetti e nozioni che poi servivano per ruotare nel sistema politico ed economico.

Ecco che poi la scuola era costretta ad elaborare Pei e pdp.

Pei e pdp che cercavano e cercano di rispondere all’umanità dei bambini che non ce la facevano e non ce la fanno, dei bambini che essendo senza filtri facevano poi saltare i banchi in aria pur di poter dire: “Ci sono anch’io e non ce la faccio a rispettare gli standard, amami con i miei limiti di piccolo uomo”.

Ecco che la mia mente torna ancora al Meeting a cui ho partecipato dieci anni fa e cioè alla veneranda età di quarant’anni e ricordo lo spazio esiguo che si diede all’intervento di Andreotti, dieci minuti, solo dieci minuti concessi ad uno stratega e statista superbo.

I ragazzotti che lo fischiarono allora, divennero poi uomini che poi hanno contribuito alla strutturazione di partiti con sottili ma marcate linee nazionaliste o partiti che poggiano i lori programmi su argomentazioni banali. Partiti che fanno fatica a riconoscere i tempi e i movimenti della storia.

La diaspora del popolo africano a cui stiamo assistendo è un movimento epocale che non solo non si riconosce e di conseguenza non si è in grado di leggere ma diventa un problema da affrontare con la chiusura delle frontiere.

Il problema economico del nostro paese, le soluzioni a problemi epocali come la diaspora del popolo africano o della globalizzazione economica che ha travolto tutti, uomini e cose. I monopoli economici internazionali delle multinazionali che hanno affamato l’Europa si risolvono secondo loro col vitalizio soppresso ai politici.

E questo Covid che sta sterminando una buona fetta della popolazione mondiale, come si risolve?

Ora io mi chiedo: “Cosa ci costa fare un passo indietro e guardare ai nostri vecchi?

Loro i mutamenti epocali li hanno vissuti e li hanno risolti. Hanno vissuto le due guerre mondiali, hanno vissuto il sistema economico capitalistico e comunista, hanno visto il mondo diviso in due da un muro. Eppure loro li hanno risolti, li hanno risolti a mio avviso perché c’era un elemento che li caratterizzava e cioè la mancanza dell’esaltazione e dell’idolatria dell’ ”Io”.

Torniamo a guardare ai nostri padri finché siamo in tempo.

 

Graziella Tedesco

 

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