“I mammi e i soru lassamuli a casa”

StrettoWeb

bambini_stradadi Kirieleyson – Oggi i bambini hanno i videogiochi, un’infinità di giocattoli che spesso durano il tempo di aprire la scatola che li contiene o, in alternativa, hanno solo da scegliere  tra gli innumerevoli programmi TV fatti apposta per loro. Una volta non era così. Non era così certamene secoli addietro,  ma non era così solo alcuni decenni fa.

Il grande cambiamento si ebbe negli anni ’60, quando la televisione  divenne popolare,  tantissimi  giocattoli cominciarono ad essere costruiti e venduti e le macchine cominciarono ad essere ovunque.

Quando ero bambino abitavo in periferia e si giocava essenzialmente per strada. Ogni gruppo di bambini viveva in una porzione ben definita di strada, possibilmente un vicolo, il loro territorio. Ogni estraneo, e per estraneo si intendeva solo uno che abitava a duecento metri di distanza, veniva guardato con curiosità, ma anche con un certo sospetto.

Ogni territorio aveva le sue regole. Anche i giochi più comuni differivano nelle regole tra una zona ed un’altra.

Il mio territorio  era lo “stretto”, ma non lo stretto di Messina, che si poteva vedere dalle terrazze, ma lo stretto della chiesa dell’Itria, meglio conosciuta come la “chiesa con le catene”, nel quartiere di Sbarre, zona Sud di Reggio Calabria, dove ho vissuto fino all’età di 10 anni. Lo stretto era un vicolo in terra battuta lungo un centinaio di metri. Nella parte iniziale costeggiava un lato della chiesa, per dissolversi alla fine in un viottolo che si addentrava nei “giardini” (che in effetti erano  un orto).  Lo stretto,  dopo l’orario di scuola era popolato da tantissimi bambini. Nello stretto non passava mai una macchina. Oggi quel vicolo  si chiama via ed ha persino i semafori. Di ciò che c’era è rimasto  proprio niente,  a parte la chiesa, che una volta mi sembrava imponente ed oggi invece scompare tra una moltitudine di palazzi che sovrastano persino il campanile, che allora mi sembrava toccasse il cielo.

imagesIl mio gioco preferito erano “i nuciddi”,  le noccioline. Quel  gioco aveva  un’infinità di regole, ma talmente tante  che sarebbe alquanto problematico  elencarle tutte.  Si giocava a nuciddi da Ottobre fino  Natale.  Esisteva  anche un mercato che seguiva la legge della domanda e dell’offerta: a inizio stagione con 5 lire si potevano compare 5 nuciddi,  successivamente 6 , a Novembre 8 e dopo Natale invece le nuciddi non valevano più niente (e quindi si potevano mangiare). Un particolare curioso era il fatto che nel gioco veniva utilizzata una specifica unità di misura  il “casteddu” (castello): un castello era composto da 4 nuciddi.

1291100645C’era poi la  “rumbula”, una piccola trottola di legno con un chiodo spuntato conficcato nel suo asse,  che faceva da perno.  La rumbula veniva  fatta roteare sul perno dopo che gli si era fatta passare attorno  una corda,   che veniva poi fatta sfilare velocemente;  la posta in gioco era pesante:  i  vincitori avevano il diritto di  dare un determinato numero di  “cuzzi”  con la propria  rumbula su quella dell’avversario. Ogni tanto  l’epilogo era drammatico: la rumbula del perdente si spaccava; in tal caso il vincitore aveva anche  il diritto di scagliarne i restanti pezzi  dove preferiva, di solito un posto non accessibile, come il tetto di una casa. Sulla parte superiore di ogni rumbula “vissuta” spiccavano un buon numero di “ferite”,  a testimonianza delle partite perse.  Ricordo l’espressione di tanti bambini che se ne tornavano a casa sconsolati ed umiliati per avere perso irrimediabilmente la loro rumbula.

100-stecche-in-legno-per-lecca-lecca-e-gelati-Varie-20130621-173230-1042C’era poi l gioco dei “ligneddi”, che non erano altro che i legni dei gelati come i ghiaccioli. I ligneddi venivano usati per la corsa nell’acqua che avveniva nel condotto in cui si convogliava l’acqua proveniente dalla fontana pubblica, che scorreva  con continuità. Tutti i bambini dovevano buttare a monte (vicino la fontana)  i loro ligneddi e quindi correre seguendo la corrente,  disincagliandoli non appena quelli si fermavano contro uno dei tanti ostacoli (erbacce e spuntoni).   Anche in tal caso la gara poteva avere un epilogo triste per qualche partecipante.  Infatti il condotto scorreva per una decina di metri sotto la strada e non tutti i ligneddi  superavano quell’ostacolo.

Ed allora, mentre la maggior parte dei bambini continuava  a correre lungo il bordo del condotto  incitando a squarciagola Algida, Eldorado, Sovrana, Alemagna  ecc. ecc. (ogni ligneddu aveva un nome, quello della  marca del gelato, stampatovi sopra) , uno o due rimanevano sconsolati alla fine della parte sotterranea del condotto, aspettando, spesso invano,  l’uscita del loro ligneddu.

uhspUn altro gioco di strada era quello di “landeddi, che altro non erano che  i coperchi delle lattine di cromatina che , opportunamente zavorrate con cartone, venivano spinte  il più lontano possibile facendo schioccare un dito, lungo un percorso che poteva essere il bordo del marciapiede o i gradini della scala della chiesa, se  il parroco non c’era.

Infatti il parroco non era di grandi vedute: un giorno, in un caldo pomeriggio di Agosto,  durante una partita  a pallone tra bambini di sei anni nella piazza della chiesa, chiese che gli venisse  consegnata la palla e quindi la bucò con un coltellino. Lo avevamo svegliato,  con  i nostri schiamazzi, dal sonnellino pomeridiano. La palla era la mia.

Un curioso fatto impegnò tutti i bambini,  mi pare nel 1957, ma non saprei dire se  ciò avvenne solo di Sbarre o se il fenomeno fu nazionale:  qualche buontempone aveva messo in giro la voce che chi avesse consegnato all’AGIP  un foglio con il maggior numero di targhe delle FIAT 600  (che allora stava diventando la macchina più popolare), avrebbe vinto un pallone di cuoio numero 5 (il che era l’equivalente di un Ipad oggi).  Per un certo periodo gran parte di noi trascurammo  i nostri giochi consueti per stare, con  un quaderno ed una penna, ai bordi della strada a nare le targhe delle 600.

Probabilmente a Stoccolma era diverso, ma a Sbarre, negli anni ’50, quei giochi, come tutti gli altri, avevano una  caratteristica: la totale assenza delle femmine. Le femminucce, infatti, giocavano rigorosamente solo a casa, con la bambole.

Tanto era scontata questa consuetudine che, in occasione dei tanti battibecchi tra bambini di strada, quando qualcuno inveiva contro un altro  dicendo  “a fissa i ta mamma” oppure “a fissa i to soru”,  usciva sempre qualcuno  che, giudiziosamente, precisava “ i mammi e i soru lassamuli a casa”.

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