Messina, l’Università riapre e ci mancherebbe pure. La soluzione ideale per non fare gli esami in presenza si chiama “rinuncia agli studi”

StrettoWeb

Messina, un piccolo gruppetto di studenti contesta la scelta del rettore di riaprire. Ma è l’Italia che ha deciso di tornare alla normalità, in tutti gli atenei di tutte le Regioni. Chi non accetta la regole basilari dell’ateneo, può benissimo rinunciare agli studi

Il rettore dell’Università di Messina, prof. Salvatore Cuzzocrea, è stato fin troppo paziente. Dopo aver disposto soltanto per il mese di Giugno il ritorno agli esami in presenza, con estrema cautela perchè l’ha fatto in netto ritardo rispetto alle altre università italiane e soltanto nell’eventualità in cui la situazione epidemiologica sarà ulteriormente migliorata con la Sicilia in zona gialla (tra l’altro prevedendo tutta una serie di eccezioni per gli studenti con gravi patologie non ancora vaccinati, per gli studenti in quarantena obbligatoria per la positività accertata di familiari conviventi, e gli studenti residenti all’estero), ha dovuto ricevere l’impeto di una piccola minoranza di studenti (circa 6 mila, rispetto ai 24 mila iscritti all’ateneo) che ha gridato allo scandalo e all’attentato alla salute pubblica (!!!).

Peccato che tra quegli stessi studenti contrari al ritorno agli esami in presenza ce ne siano addirittura alcuni che nei giorni scorsi sono scesi in piazza per protestare contro il coprifuoco!

L’Italia sta ripartendo, il premier Mario Draghi ha segnato il passo con il decreto del 26 aprile che prevede proprio per le università il ritorno alla normalità. E ci mancherebbe pure che la ripartenza non veda l’istruzione come una priorità assoluta: c’è tanta voglia di uscire la sera, abolire il coprifuoco, tornare in pizzeria, in discoteca, a giocare a calcetto, a frequentare i parchi divertimento, ad andare in vacanza. Per quale motivo quindi non si dovrebbe tornare alla normalità nelle università? Il rettore è stato fin troppo cauto: riteniamo sarebbe opportuno ricominciare in presenza anche le lezioni! Altrimenti che si sono corsi a vaccinare a fare i docenti universitari, per rimanere a casa?

Le motivazioni dei (pochi) studenti che non vogliono tornare all’Università sono deliranti. Lamentano che i fuori sede dovrebbero tornare ad affittare un appartamento, che dovrebbero tornare a viaggiare con aerei, treni, navi. Che grandissimo scandalo! C’è chi non ha mai smesso di farlo per tutta la pandemia… Non è altro che la normalità della vita universitaria. La bella, entusiasmante, adrenalinica, impegnativa e sacrificante vita universitaria a cui questa generazione deve necessariamente tornare ad abituarsi dopo un anno di alienazione forzata. A smascherare le intenzioni di questa sparuta minoranza di studenti reazionari è stato nelle scorse ore un sindacato studentesco, UDU Messina – Unione degli Universitari chiedendo “a quale normalità vogliamo tornare?“, celebrando l’esaltazione della didattica a distanza che in quest’anno di pandemia ha testimoniato la peggior decadenza storica del sistema formativo e socio-culturale.

Giova ribadire che l’istruzione obbligatoria non comprende l’università. Si tratta di una scelta facoltativa di chi, maggiorenne, vuole formarsi in modo più approfondito rispetto al diploma di maturità, e si tratta di una scelta che ovviamente richiede impegno non indifferente. Persino le università telematiche sono costrette, per legge, a tenere gli esami in presenza perchè un esame a distanza non può essere un vero esame. Se davvero c’è qualcuno che non vuole tornare alla bella e sana normalità universitaria, è liberissimo di presentare regolare rinuncia agli studi ed occuparsi di altro. L’università è uno strumento che può consentire a chi vuole di arricchirsi culturalmente, formarsi, sviluppare competenze e presentarsi meglio sul mercato del lavoro. Ma per funzionare, è necessario che non si degradi e mantenga alti standard formativi. Un’università virtuale e a distanza non sarà mai una vera università; affinchè quel pezzo di carta chiamato laurea non rimanga tale è fondamentale che rappresenti anni di bagagli formativi, relazionali e di apprendimento fatti ovviamente di esami reali, in presenza, di lezioni, laboratori, biblioteche, incontri, socialità, ma anche di pendolarismo e affitti, che sono esperienze di vita spesso e volentieri formative tanto quanto gli esami.

Se il compito dell’università è quello di introdurre alla vita, non si può pensare neanche lontanamente di potersi laureare in pantofole e pigiama dietro lo schermo di un pc.

Perchè la vita non funziona in pantofole e pigiama dietro lo schermo di un pc.

Condividi