Personaggi storici messinesi: la poetessa Maria Costa, patrimonio della cultura siciliana

StrettoWeb

Alla scoperta dei personaggi storici messinesi: è la volta di Maria Costa, poetessa della città dello Stretto

Il “viaggio” di StrettoWeb tra i personaggi storici messinesi approfondisce oggi la storia di Maria Costa, poetessa nata il 15 dicembre 1926 nella città peloritana e deceduta qualche anno fa, il 7 settembre 2016, poco prima di compiere 90 anni. E’ da considerare uno dei patrimoni contemporanei della cultura siciliana e soprattutto messinese, che trovava ispirazione osservando il mare e quello Stretto che sentiva suo, sin dalla nascita, avvenuta nel rione delle Case Basse di Paradiso. Nelle sue opere in dialetto messinese è riuscita a tramandare la memoria collettiva di Messina distrutta dal terremoto del 1908, mettendo al centro la tradizione di luoghi, personaggi e leggende della città dello Stretto. E’ riuscita a tirar fuori da quelle case in cui abitava tutta la storia che esse trasudavano, incluso proprio il periodo precedente al terremoto, perché quelle abitazioni avevano resistito ad ogni terremoto, guerra o altro tipo di disastro. Ma raccontava anche le leggende, come quella famosa di Colapesce o di Scilla e Cariddi.

Ma a spiegare bene chi era Maria Costa e come si sviluppava la sua poesia è stato il poeta Giuseppe Cavarra, tra i primi a riconoscerne l’essenza: “In Maria Costa – scriveva – la poesia nasce come bisogno di estrinsecare la propria esperienza, perché sia di giovamento a tutti lungo la strada comune, come modo di rivivere con sofferenza il dolore degli uomini. Una scrittura poetica la sua come apertura al dialogo, come fiducia nella forza della parola che scava in profondità senza infingimenti o compiacimenti. Ciò fa sì che nella poetessa di Case basse la parola poetica si faccia di volta in volta senso ritrovato di un’umanità che non conosce limiti, partecipazione sofferta e silenziosa alle ragioni degli altri”.

MariaCostaMaria Costa riusciva a trasmettere con la scrittura, la parola e la gestualità quello che era il suo stile di vita. Era una donna che amava la sua terra, le sue origini, il mare e le tradizioni, e che pur essendo semplice e umile amava la libertà dell’età moderna, quella su cui si sarebbe fondata la nuova società. Non si è mai sposata, non ha mai avuto figli e si è presa cura di uno dei suoi fratelli dopo la morta della madre. Era libera e indipendente ed era solita spostarsi da sola in bicicletta indossando quella che sarebbe stata la futura minigonna e che ai tempi della sua giovinezza era considerata scandalo. E’ anche per questo che il 6 marzo del 2019, giorno della festa della donna, la città metropolitana di Messina aveva ricordato la poetessa con un interessante omaggio.

Nel 2006 il suo nome è stato iscritto nel registro dei “Tesori Umani Viventi” dall’Unità Operativa XXVIII-Patrimonio UNESCO, Registro Eredità Immateriali della Regione Siciliana, e a lei sono stati dedicati numerosi servizi nonché elaborate tantissime tesi di Laurea di Università siciliane e non solo. Dopo la sua morte, l’abitazione di Via Case Basse è diventata sede del Centro Studi Maria Costa, che promuove iniziative in sostegno della poesia popolare.

Le opere di Maria Costa

  • Farfalle serali (1978)
  • Mosaico (1980)
  • ’A prova ’ill’ovu (1989)
  • Cavaddu ’i coppi (1993)
  • Scinnenti e muntanti (Rema scendente e rema montante) (Edas, 2003)
  • Àbbiru maistru (Pungitopo, 2013)

Uno dei lavori più recenti e significativi, in termini di tradizioni e leggende sociali, è “U sfrattu” (lo sfratto), che la poetessa ha scritto per denunciare il suo forte dissenso alla realizzazione del Ponte sullo Stretto, tema di recente tornato molto attuale. Lo ha fatto in difesa di tutti quei concittadini, amanti come lei del mare, spesso protagonisti delle sue opere. Trasmettiamo integralmente la poesia “U sfrattu: no o ponti”.

‘U piscispada dissi a lu ‘ntrasattu

“Ahiài! Ahiài! M’arruàu ‘u sfrattu!”

“Chi vai dicennu, pezzu di minchiuni?”

Dissi ‘a murina misa ‘nta ‘na gnuni.

“A freu d’acqua cci su’ coppa ‘i matteddu!”

Rispunni scantatu u luvareddu.

‘U pruppu inveci dissi: “Mi ni futtu:

tempu nenti i vestu trutti a luttu”

A tappu si ‘ntricau ‘a ciciredda:

“Cci penzu iò pi ‘sta cumacca bedda:

aùnni assummu è sempri malanova…

Mi ‘ttaccu a tutti iò a giru i bova”.

“Nisceru pacci – dissi lesta ‘a pìchira –

Un coppu ‘i scossa e cumenzu da chìchira”.

Cci mannaru ‘u sfrattu a Scilla e Cariddi,

mustri di rema e di mari friddi.

“Matricedda! – dissi lesta ‘a ‘ncioiarina –

‘u funnali divintiravi ‘na latrina.

A cu non nesciravi du carrùggiu

Cci ‘ssintirannu coppa d’archibbùggiu”.

Ca feli a bucca ‘a Fata Muggana

‘ssistìa ‘llunata a ‘ddu scinni e ‘nchiana.

“Sfrattu! Sfrattu! Sfrattu cc’è pi tutti!”.

Dicia u piscispada ittannu rutti.

Erunu ‘mmasati i pisciceddi,

i baùsi, i opi, i iaiuleddi.

“Figghiazzi di buttana, chi cunnanna!

Non nni bastava rizza, lenza e canna?”

Rispunnìu Cola du postu fissu:

“Mi cci veni a tutti ‘nu subbissu!

Non cianciti, non vi sbarruàti:

non ci niscemu mancu a cannunati”.

E dissi mutu mutu e sotu sotu:

“Pi tutti ci penzu iò c’un marimotu.

E non bi dispirati, amici mei,

muriravi Sansuni cu tutti i Filistei!”.

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