“Un ponte esiste quando le due sponde si amano”: il libro scientifico ricorda come “L’arte di progettare ponti è sempre stata qualcosa di sacro”

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In un libro scientifico, il meteorologo Guido Caroselli ricorda l’arte di costruire ponti ed esalta il ruolo dei collegamenti stabili, nella storia e nel presente

Un ponte esiste quando le due sponde si amano“. Inizia così, con la citazione di Antoni Regulski, il capitolo dedicato alle infrastrutture del libro del noto meteorologo Guido CaroselliFiumi, le arterie della vita sulla Terra”, pubblicato dal Sole 24 Ore.

Nel testo, Caroselli racconta come “attraversamenti fluviali con tavolati poggiati su barche furono realizzati nell’antichità dai Cinesi, dai Greci e dai Romani. Ancora oggi ne troviamo esempi, come in Itlaia sull’Oglio e sul Ticino. Nel mondo ne esistono solo una decina, un asoluzione da adottare quando esistono problemi di solidità dei fondali o quando le rive sono troppo distanti per sostenere un ponte sospeso. I ponti stabili furono opera degli Etruschi e poi dei Romani, che li realizzarono con travate di legno. Seguirono gli acquedotti e i ponti in muratura sostenuti da archi a semicerchio di pietre o cemento costruiti su provvisorie centine di legno. Marco Vitruvio Pollione, architetto romano del I secolo a.C., stabilì le tre regole dell’architettura: utilitas, firmitas, venustas, ossia funzionalità, solidità e bellezza. L’arte di progettare ponti era sacra, da cui deriva la parola Pontifex (artefice di ponti), nome poi ripreso dalla cristianità per indicare il Sommo Pontefice, il capo della Chiesa“.

Alle forme a semicerchio – prosegue l’autore nel suo excursus storico – succedettero poi nel XIV secolo arcate ribassate e più ampie, strutturalmente più resistenti. Prima della fine del Settecento si cominciò a costruire con la ghisa. Il ponte sul Severn (Inghilterra) resistette a molti straripamenti, dimostrando una migliore tenuta rispetto al legno, ma presto la ghisa, pesante ma fragile e poco resistente alla trazione, fu sostituita nell’Ottocento dal ferro. Il geniale ingegnere francese Gustave Eiffell (il costruttore della Torre di Parigi), realizzò ponti di ferro, molti dei quali negli Stati Uniti. Ma il metallo, dopo il crollo di 400 ponti americani, fu sostituito alla metà del secolo dall’acciaio, lega ferro-carbonio assai più resistente. Molti passaggi ferroviari sui fiumi erano e sono realizzati da strutture assemblate da triangoli d’acciaio. Nascevano intanto i moderni ponti sospesi. Da grosse catene, e in seguito da fasci di cavi pendenti da alti piloni sulle sponde, erano fissati cavi più sottili per reggere il piano di transito. A New York, l’ingegnere tedesco John Augustus Roebling realizzò in quattordici anni, dal 1869 al 1883, il Ponte di Brooklyn, per collegare il quartiere con l’isola di Manhattan. A dimostrarne la solidità furono fatti passare migliaia di cittadini e persino un branco di elefanti. Tuttora la struttura è funzionale. Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento si affiancò al ferro e all’acciaio il cemento armato, poi si ricorse al calcestruzzo che ha resistenza meccanica simile a quella della roccia. Tra i nuovi ponti sospesi troviamo gli “strallati”, disseminati lungo i lati da alti piloni dai quali scendono fasci conici di cavi che assicurano il pianale. Tra le opere più ardite, a lunga luce, troviamo i ponti “a sbalzo”, realizzati assemblando strutture romboidali (ne troviamo uno, in legno, nel film “Il Pponte sul fiume Kwai”)“.

Soltanto nell’Italia del 2021, invece, un’idea banale e semplice come quella del Ponte sullo Stretto, viene contestata e avversata.

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