Kevin De Bruyne, la stella del Belgio dal passato difficile: “la famiglia affidataria non ti vuole più”, 5 gol e la rivincita personale

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Il passato difficile di Kevin De Bruyne: il rifiuto della famiglia affidataria, la rabbia sfogata con 5 reti e l’inizio della carriera di uno dei talenti più cristallini della storia

Da quando ero ragazzo sono sempre stato estremamente silenzioso, estremamente timido. Non avevo una PlayStation. Non avevo molti amici intimi. Il modo in cui mi esprimevo era attraverso il calcio“. Non è che sia cambiato molto Kevin De Bruyne. A guardarlo non gli si darebbero grosse chance. Taciturno, introverso, viso che arrossisce e risalta il colorito pallido. Cosa c’è di diverso? Oggi è considerato uno dei centrocampisti più forti della storia, è il leader del Belgio che questa sera affronterà l’Italia a Euro 2021; Guardiola non può fare a meno di lui nel suo Manchester City. Quando ha deciso di esprimersi con il pallone beh… non ha preso la scelta sbagliata.

Eppure il suo percorso non è stato facile. Lo ha raccontato personalmente in un pezzo pubblicato su ‘The Players Tribune’, lo spazio in cui i calciatori si raccontano intimamente tra confessioni, ricordi e pensieri personali. Il titolo del suo scritto è alquanto esplicativo “Let me talk“, lasciatemi parlare. La sua storia inizia a 14 anni, l’età in cui la sua vita è cambiata per sempre: fu in quel momento che KDB decise di provare a diventare un calciatore. Per farlo dovette trasferirsi a 2 ore da casa sua, a Genk. Passò il primo anno in albergo, poi venne affidato ad una famiglia affidataria. Era timido con le persone che conosceva da tempo, figuriamoci con quelle che non conosceva, in un’altra città. Dalla famiglia però nessuna lamentela: la scuola andava bene, il calcio andava bene, nessun problema comportamentale o di qualsiasi altro genere. Al termine dell’anno, KDB fece le valigie per tornare temporaneamente a casa durante l’offseason, la famiglia lo saluto con la promessa che si sarebbero visti dopo l’estate per continuare il loro percorso insieme.

Kevin De Bruyne
Foto Ansa

Fu quando tornai a casa che mia mamma pronunciò davanti a me le parole che avrebbero per sempre cambiato il corso della mia vita – racconta De BruyneLei stava piangendo, subito ho pensato fosse morto qualcuno. Le chiesi quale fosse il problema. ‘Non vogliono che torni – mi disse – la famiglia adottiva non ti vuole più’. ‘Perché?’ chiesi io. ‘Per quello che sei – continuò lei – hanno detto che sei troppo tranquillo. Non riescono ad interagire con te. Hanno detto che sei un ragazzo difficile'”. Pensate all’impatto psicologico che una notizia del genere possa aver avuto su un ragazzo timido come il giovane Kevin.Pensai ore e ore a quella frase, calciando il pallone contro un muretto, ‘per quello che sei’. Poi, dopo l’estate, tornai al Genk e fui promosso in seconda squadra. A quel punto ricordo l’esatto momento in cui tutto è cambiato per sempre. Giocavamo un venerdì sera, il primo tempo lo passai in panchina, poi entrai nel secondo: fui come impazzito. Primo gol: ‘non ti vogliono più’. Secondo gol: ‘sei troppo timido’. Terzo gol: ‘sei un ragazzo difficile’. Quarto gol: ‘non ti vogliono più’. Quinto gol: ‘per quello che sei’. Cinque reti, in un tempo! Dopo quel giorno tutti cambiarono idea su di me“. Una rivincita vera e propria, in quel momento iniziò la carriera di un campione straordinario. Per farsi notare non bisogna sempre alzare la voce, a volte basta starsene tranquilli con la palla tra i piedi, il talento farà il resto.

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