La partita sulle pensioni si sposta nel 2022

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La riforma previdenziale che avrebbe dovuto essere approvata quest’anno alla fine di “quota 100” per evitare il formarsi dello scalone di cinque anni da 62 a 67 anni di età per accedere al pensionamento, di fatto è stata spostata nel 2022

La riforma previdenziale che avrebbe dovuto essere approvata quest’anno alla fine di “quota 100” per evitare il formarsi dello scalone di cinque anni da 62 a 67 anni di età per accedere al pensionamento, di fatto è stata spostata nel 2022. La decisione del governo Draghi di inserire tale riforma nella legge di bilancio aveva già fatto presupporre che pochi cambiamenti ci sarebbero stati. Senza avere un suo iter autonomo e senza la possibilità di una vera discussione in Parlamento le prospettive erano molto scarse.

E così è stato. Nemmeno lo sciopero generale del 16 dicembre, a cui non ha aderito la CISL, è servito a modificare le intenzioni del governo che nell’incontro con le OO.SS. prima di Natale ha solo promesso tre tavoli uno sulla flessibilità in uscita, uno sulla previdenza per giovani e donne e l’ultimo sulla previdenza complementare per iniziare a parlare di previdenza con la speranza che il tutto si concluda nel mese di aprile 2022 per essere inserito nel DEF.

C’è stata molta delusione nei lavoratori, soprattutto quelli nati nel 1960, che ancora speravano una proroga di “quota 100” e che dal 1/1/2022 dovranno lavorare due anni in più.

E’ stata infatti confermata ma solo per il 2022“quota 102” (64 anni di età + 38 di contributi), la proroga di Opzione Donna e l’estensione di alcune categorie di lavoratori che potranno accedere all’Ape Sociale, ma nulla per quanto riguarda la flessibilità in uscita (62 anni di età oppure 41 anni di contributi) in cui molti speravano e che le OO.SS. hanno fortemente chiesto.

Partita rinviata al 2022 ma, purtroppo, con molte incognite. Innanzitutto sul futuro di Draghi che molti vorrebbero come Presidente della Repubblica. Se salisse al Colle sarebbe difficile trovare un altro Presidente del Consiglio che riesca a tenere la maggioranza coesa e ci sarebbe il serio pericolo di andare alle elezioni anticipate con inevitabili ritardi nell’approvazione di una riforma previdenziale.

Draghi ha mostrato una certa disponibilità a parlare di pensioni ma ha precisato che è necessario mantenere i conti in ordine nel medio e lungo periodo affermando anche che il futuro della previdenza in Italia deve essere nell’ottica del contributivo. Queste affermazioni “tranchant” hanno messo in apprensione milioni di lavoratori che ancora godono del sistema misto e che temono una decisione dell’esecutivo proiettato verso una riforma il cui calcolo dell’assegno previdenziale sia totalmente con il sistema contributivo.

Sarebbe una situazione disastrosa per i lavoratori che si troverebbero dopo 40 anni di lavoro pensioni decurtate di almeno il 25% rispetto a quanto avrebbero percepito con il sistema misto. E’ un problema che si ripropone ad ogni riforma con le varie organizzazioni internazionali come l’OCSE, la BCE e l’UE e a cui si aggiungono la Corte dei Conti e la Banca d’Italia che evidenziano l’eccessivo costo della previdenza nel nostro Paese e invitano il governo a porre un freno il più presto possibile.

Ma la media dell’importo delle pensioni in Italia è già molto bassa (oltre il 40% degli assegni previdenziali è sotto i 1.000 €) e se si intervenisse operando un’accelerazione verso il sistema contributivo avremmo in pochi anni un esercito di pensionati che saranno, inevitabilmente, i nuovi poveri del domani.

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