Terremoto del 5 e 6 febbraio 1783: dopo la forte scossa venne elaborata una particolare Mappa Topografica di Scilla

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Dopo il terremoto e conseguente maremoto del 5 e del 6 febbraio del 1783 l’architetto Pompeo Schiantarelli elaborò insieme all’incisore Antonio Zaballi e a Padre Antonio Minasi una particolare Mappa Topografica del paese di Scilla

di Enrico Pescatore- L’assurda superstizione, viva ancora oggi, che a seguito di stagioni estive particolarmente calde, come fu quella del 1782, seguita da piogge continue e violente fino al mese di Gennaio, ebbe origine, quando nel 1783, nella provincia di Reggio Calabria si verificò un intenso sciame sismico caratterizzato da 949 scosse. Questo intenso fenomeno naturale culminò con due gravi terremoti, il 5 e il 6 febbraio con epicentro rispettivamente in Aspromonte e a Scilla. La mattina del 5 febbraio il paesino dalla grande rocca si presentava con un cielo coperto di nubi e cadeva una pioggia sottile, ma verso le 13 si mosse improvvisamente la terra in modo assai violento, tanto che crollarono moltissimi edifici, causando la morte di 175 persone, era il terremoto. Il più grave danno fu prodotto dalla caduta della cupola e della crociera della Chiesa Matrice che franando dalla parte del rione dei pescatori, Chianalea, travolse oltre 10 case. Una porzione dell’altopiano “Utra”, dirimpetto alla Bastia nel quartiere più in alto, San Giorgio, franò nel sottoposto Torrente “Li urni”, il cui nome antico indicava la presenza lungo l’asta fluviale di “urne” di acqua formando delle piccole vasche naturali. Avvenuta la prima catastrofe, ognuno cercava rifugio nei luoghi aperti, accampandosi in modo provvisorio nelle baracche costruite alla meglio con legname e tavole recuperate in giro. Tanti invece cercarono rifugio nelle barche che furono rovesciate sulla spiaggia per coprirsi dal freddo, trovando così un comodo riparo e portando con sé anche gli oggetti più preziosi.
Infatti sia nel quartiere di Marina Grande che al Oliveto si raccolsero in quella notte circa duemila cittadini scillesi. Dopo una fortissima scossa di terremoto avvertita alle una e un quarto di notte con epicentro a Scilla, quindi il 6 Febbraio, anche se meno intensa di quella del giorno prima, si cominciò a sentire dalla parte di monte Pacì, un sordo e continuato fragore, poiché scoscese una grande porzione della montagna verso il mare. Questo episodio fece raccapricciare tutte le persone che stavano lì, nel cuore della notte rimanendo inermi e completamente basiti. La frana durò quasi un minuto e in breve tempo si vide da quello stesso lato, un cavallone altissimo spumeggiante che in un baleno inondò Marina Grande per circa 500 metri, ricoprendola interamente, questo maremoto causò il più grande disastro del paese di Scilla. Le onde provocate da questo fenomeno arrivarono subito alle case, risalendo per circa 200 metri dalla battigia della spiaggia fino ad arrivare al Torrente “Li Urni”, tanto da recare seri danni alla chiesa dello Spirito Santo e distruggendo altre tre case vicine. La chiesa dello Spirito Santo era stata consacrata qualche anno prima e precisamente il 7 Dicembre del 1752 su un edificio precedente, più piccolo di quasi otto metri, arrivava cioè fino alla vecchia cripta. L’esistenza di una chiesa precedente lo sappiamo dalla lapide murata al esterno dell’edificio della sacrestia. Il nuovo edificio fu costruito a spese della confraternita dei marinai dello Spirito Santo che si erano congregati di corrispondere con la quarta parte dei loro ricavi. A quei tempi il paese di Scilla contava circa cinquemila abitanti e il 40 % erano marinai e pescatori. L’entità del commercio svolto era di piccolo e medio cabotaggio esercitato dalle paranze e dalle feluche. Le paranze erano barche che potevano arrivare a otto metri di lunghezza e esercitavano il loro commercio nelle vicinanze, soprattutto sulle rive dello Stretto di Messina. Le feluche invece erano imbarcazioni più grandi, arrivavano anche a 19 metri di lunghezza e compivano, in genere in gruppo, uno o più viaggi l’anno verso l’alto Adriatico portando uva passa, cotone, seta ed altre merci fino a Venezia e a Trieste. Prima di imbarcarsi per il ritorno acquistavano panni di lana e di cotone, guanti, berretti, cera e altro che poi rivendevano in loco e anche in Sicilia. I proprietari delle imbarcazioni appartenevano alle famiglie storiche che si tramandavano da padre in figlio l’arte del commercio come i Baviera, Palmisano, Tuzzo, Barbera, Idone, Pontillo, Paladino, Polistena, Arlotta, Mansone, Morgante, Longordo, Sorace, Terranova e i Caracciolo. Continuando con il maremoto, le onde provocate dal sisma sfondarono le porte dell’altra Chiesa di Santa Maria delle Grazie allagando tutto, colpirono con furia i faraglioni della rupe e passando dal altro lato arrivarono al rione Chianalea e all’Oliveto, proprio dove si erano raccolti la moltitudine della gente.
La forza delle onde diminuì d’intensità fino a quando il mare ritornò calmo come prima. Moltissime persone furono disperse in mare e tante gravemente ferite persero la vita per mancanza di soccorsi immediati. Sul numero dei morti c’è qualche discordanza, quelli registrati dal Arciprete Don Giuseppe Ingegneri ammontarono a 1447, in tutto però perirono circa 1700 cittadini, incluse le vittime dei successivi giorni su una popolazione di 5000 abitanti. Il maremoto distrusse quasi tutte le barche degli scillesi eccetto le feluche con a bordo 175 giovani marinai che per buona sorte si trovavano in quel momento in viaggio per i loro traffici commerciali. Subito dopo avvenne la ricostruzione del paese di Scilla ma fu lenta e faticosa. In ricordo di questo terremoto e maremoto l’architetto Pompeo Schiantarelli che si trovava in Calabria per riprogettare Polistena, paese che era stato completamente distrutto dallo stesso terremoto, elaborò una “Mappa topografica della terra e del Castello di Scilla” che fu incisa in rame dal suo collega Antonio Zaballi. La tavola planimetrica realizzata indicò i danni, utilizzando una tonalità più scura per gli edifici “sustinti” ovvero che hanno retto al sisma, mentre una tonalità chiara o mezzatinta per quelli rovinati o distrutti. A rendere più completa l’opera d’arte dello Schiantarelli, furono le indicazioni dettagliate di quattro figure in basso alla stampa che descrissero bene lo scompiglio creato dalla terribile catastrofe. Il ragazzo che si aggrappa ad una botte, un uomo stranito che guarda a terra con le mani conserte, un agile nuotatore che salva una donna appoggiandola sulla sua schiena e una ragazza che si tiene dai rami di un albero per salvarsi dalle onde, furono fornite da Padre Antonio Minasi che raccolse varie testimonianze dei sopravvissuti dopo il disastro. Il canonico era stato scelto dalla Accademia Reale delle Scienze dei Borbone, per esaminare e studiare i luoghi colpiti dal devastante terremoto, al seguito di un gruppo dei più accreditati naturalisti ed archeologi, tra cui il cugino Rocco Bova. Gli illustri scillesi del tempo diedero così il loro importante contributo anche a questa particolare elaborazione topografica.
FONTI PRIMARIE: Dirette, da “Storia dei fenomeni del tremoto avvenuto nelle Calabrie e nel Valdemone nell’anno 1783″della Reale Accademia delle Scienze presso Biblioteca Nazionale di Napoli, dal libro “Notizie storiche del paese di Scilla” del canonico Giovanni Minasi del 1889 edito da Edizioni Parallelo 38, dal libro “Scilla nel settecento” di Gaetano Cingari del 1979 edito da Grafica Meridionale e dal libro “La chiesa di Spirito Santo in Scilla” del 1982 edito da Pacini.

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