Prodotti venduti allo stesso prezzo ma in quantità ridotta: Codacons denuncia la “shrinkflation”, una strategia per “illudere” il consumatore

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L’azione consiste nel vendere un prodotto allo stesso prezzo del passato ma utilizzando un contenitore più piccolo, un contenuto inferiore o offrendo meno servizi

Si chiama “shrinkflation” ed è una strategia che preoccupa molto i consumatori italiani in questo periodo di inflazione. La parola deriva dal termine anglosassone composto verbo “shrink”, restringere, e appunto “inflation”, rincaro: l’azione consiste nel vendere un prodotto allo stesso prezzo del passato ma utilizzando un contenitore più piccolo, un contenuto inferiore o offrendo meno servizi. Questa mossa permette al venditore o all’azienda di non dare al consumatore una sensazione di impoverimento tale da scoraggiare la spesa, e quindi i consumi. E’ un fenomeno molto diffuso, non solo in Italia, già utilizzato nel tempo, che le associazioni dei consumatori hanno però deciso di denunciare: Codacons ha infatti presentato un esposto all’Antitrust e a 104 Procure della Repubblica, chiedendo di aprire indagini volte a verificare se questa prassi sia legale o se invece configuri reati come “truffa” o “pratica commerciale scorretta”. Un’iniziativa analoga era stata assunta da Consumerismo No profit all’inizio del mese di aprile.

“Un trucchetto che consente enormi guadagni alle aziende produttrici ma di fatto svuota i carrelli e le tasche dei consumatori”, si legge nella denuncia presentata dal Codacons, che prosegue: “i consumatori tendono ad essere sempre sensibili al prezzo ma potrebbero non notare piccoli cambiamenti nella confezione o non fare caso alle indicazioni, scritte in piccolo, sulle dimensioni o sul peso di un prodotto. Spesso, inoltre, ad una diminuzione del quantitativo di prodotto si associa un nuovo packaging e un restyling visivo così da rendere il tutto ancor più accattivante”. Shrinkflation indica pertanto un processo attraverso cui vengono ridotte le dimensioni dei prodotti di largo consumo mantenendo però sostanzialmente i prezzi invariati senza, come detto, aumentandoli.

Tutto ciò avviene sotto lo sguardo inconsapevole del consumatore, il quale nel momento in cui acquista ad esempio una busta di patatine fritte difficilmente si chiede che dimensioni aveva la confezione di quello specifico prodotto uno o due anni fa. Il raggiro è così servito senza che nessuno se ne accorga. E non vale solo per le classiche chips, ma anche per tanti altri casi. Ad esempio per il numero di biscotti contenuti in un pacco; per i fazzolettini di carta nei pacchetti, che molte marche hanno ridotto da dieci a nove; per il peso di una scatoletta di tonno piuttosto che di un cono gelato. E ancora: flaconi di detersivo, bottigliette, yogurt, merendine e infine persino il nostro prodotto nazionale che si avvia a “perdere peso” con pacchi da 400 grammi invece del canonico “mezzo chilo”. Le tecnologie sempre più sofisticate del packaging (“imballaggio”), sommate alla necessità diffusa di far cassa in anni di crisi economica da parte di molte aziende, hanno prodotto un “restringimento” generale di ciò che si acquista, intaccando i risparmi senza che il consumatore se ne accorga.

In passato la situazione in Italia è stata fotografata da Istat. Secondo L’Istituto nazionale di statistica dal 2012 al 2017 i casi analoghi registrati in mercati, rivendite e super-mercati sono stati 7.306. Nello stesso periodo, di 4.983 prodotti è stato modificato non solo il confezionamento ma anche il prezzo. Le classi di prodotto interessate dal fenomeno della “shrinkflation” sono in totale 11. I picchi si registrano nel settore merceologico di zuccheri, dolciumi, confetture, cioccolato, miele (in 613 casi diminuzione della quantità e aumento del prezzo) e in quello del pane e dei cereali (788 casi in cui, però, si è riscontrata solo una riduzione delle confezioni). Bibite, succhi di frutta, latte, formaggi, creme e lozioni sono le altre categorie di prodotti a cui è bene prestare particolare attenzione.

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