A.A.A. cercasi camerieri e pizzaioli, Gino Sorbillo: “colpa anche del reddito di cittadinanza”

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Gino Sorbillo, icona della pizza napoletana nel mondo, ha difficoltà a trovare gente che vuole lavorare: “costretti ad assumere anche chi non ha esperienza”

“Mancano pizzaioli e lavapiatti, ma soprattutto i camerieri. In generale c’è meno propensione al sacrificio: il dipendente medio dura pochi mesi, ti lascia senza preavviso. Il reddito di cittadinanza? C’entra, eccome”. Ad affermarlo è Gino Sorbillo, titolare di una delle pizzerie napoletane più conosciute al mondo. L’imprenditore ha provato anche a cambiare il tipo di messaggio, pur di trovare personale: “prima ti assumiamo e poi impari il mestiere”, eppure sembra che nulla sia cambiato in queste settimane. Il grido d’allarme è accorato, non si ferma al capoluogo campano ma è una questione nazionale, i dipendenti stagionali sono a “rischio estinzione”. Come riporta La Repubblica, alberghi e ristoranti hanno lanciato un Sos: con un numero così ridotto di lavoratori professionisti del settore mettere a punto l’organico in vista della stagione estiva sarà molto complicato.

Solo per fare un esempio, a Roma secondo Confcommercio mancano all’appello – rispetto al 2019 – circa 21 mila dipendenti (erano 80.400 gli impiegati nei bar e nei ristoranti prima della pandemia). E i numeri nelle Isole e al Sud aumento in maniera sproporzionata. “Tra social network, gruppi di inserzioni e passaparola sto cercando da mesi più figure professionali che vengano a lavorare per 8 ore nel mio ristorante con regolare contratto secondo i salari minimi garantiti”, aggiunge Enzo Capasso, pizzaiolo e titolare di “Casa Capasso” in via Tribunali, in pieno centro a Napoli. “Mi servirebbero almeno un cameriere, un pizzaiolo (sic!, ndr), e un aiuto cuoco ma non arrivano proprio candidature. È un problema, perché con l’avvicinarsi della stagione estiva aumenta la mole di lavoro. E come me sono in difficoltà molti ristoratori del centro storico: alcuni locali non aprono perché non hanno personale”.

A rincarare la dose è poi Fulvio Gaglione, direttore del Grand Hotel Punta Molino, cinque stelle nel cuore di Ischia, il cui sistema ricettivo – con oltre 400 alberghi – è senz’altro una cartina di tornasole importante anche in chiave nazionale: “ci siamo rivolti ai docenti dell’istituto alberghiero, invano, ma il motivo del fenomeno va ricercato nella capillarità del reddito di cittadinanza, che consente di stare a casa con 600 euro anziché lavorare in sala, regolarmente assunti, con stipendio da contratto nazionale. E se non ci sono strumenti coercitivi per arginare le conseguenze del sussidio, andrebbe quanto meno studiato qualche incentivo per il lavoro, magari attraverso la detassazione dei salari e, dunque, garantendo agli stagionali un netto più in linea con le aspettative dei giovani”.

Eleona Leonessa, tra i responsabili della catena alberghiera, nota che in molti ritengono il lavoro poco conveniente: “deve esserci un problema di fondo, alcuni dipendenti appena assunti hanno preferito dimettersi dopo una settimana, nonostante la mole di lavoro sia ancora relativamente ridotta, essendo in bassa stagione. Le nostre aziende rispettano gli obblighi salariali, ma non basta: i giovani preferiscono restare a casa, magari limitandosi a impieghi saltuari, spesso al nero, nei fine settimana. Come uscirne? Per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro – prosegue Leonessa – occorrono forse decontribuzione sui salari e aumento conseguenziale delle retribuzioni: oggi per 1200 netti a un dipendente la mia azienda ne paga almeno il doppio”.

Tra giovani “fannulloni” e una burocrazia che pesa troppo sulle spalle delle aziende

Il fenomeno è complesso, non usa mezzi termini Nino Di Costanzo, due stelle Michelin con il suo “Danì Maison”, punto di riferimento della ristorazione d’eccellenza italiana. Un fiore all’occhiello di Ischia e della Campania. Eppure, anche lui confessa di avere avuto difficoltà a chiudere il cerchio del personale per la stagione appena iniziata: “c’è da chiedersi se noi e, prima di noi, i nostri genitori fossimo imbecilli. Io ho lavorato in giro per il mondo per tanti anni gratis, o quasi: quel che si chiama gavetta, parola oggi forse poco conosciuta. I giovani sono meno disposti ai sacrifici. Accetto che si parli di tutele sindacali, ma trasecolo quando apprendo che in media un ragazzo cambia dieci lavori tra i 18 e i 29 anni. E anche a me capita di avere in prova qualche giovane e sentir dire che sia lui a valutare se restare a lavorare, e non – viceversa – io a comprendere se si tratti di una professionalità in grado di crescere nel mio ristorante. E di fronte a un fenomeno così diffuso, a Ischia come altrove, non accetto che si colpevolizzino le imprese, che fanno una fatica immane a restare in vita dopo il periodo complesso della pandemia”.

Stando ad alcuni operatori del settore, in alcuni casi i contratti vengono rifiutati per non perdere il reddito di cittadinanza. Ma tra i lavoratori c’è ci lamenta anche scarse tutele. Tra i lavoratori stagionali, in rete spopolano gli “screenshot” di conversazioni – vere o presunte – tra candidati e aziende, in cui si sottolineano spesso condizioni di lavoro al limite: turni di lavoro troppo lunghi, nessun giorno di riposo nei mesi di luglio e agosto. Capita dunque molto spesso che, pur di non dover rinunciare al sussidio economico, gli operatori stagionali del settore della ristorazione scelgano di lavorare a “chiamata” e senza contratto. Quel che occorre recuperare è, probabilmente, il dialogo disteso tra datori di lavoro e aspiranti dipendenti. Giuseppe Scicchitano del ristorante “Innovative” di Napoli, costola de “‘A figlia d’ ‘o marenero, ha avuto corsi gratuiti di formazione, invitando i giovani a crescere professionalmente e a responsabilizzarsi: “ai miei dipendenti che proporrò esperienze a Milano, Parigi e Londra, dove contiamo di aprire nuove sedi, con la possibilità di occupare posizioni manageriali”.

Probabilmente è questa la soluzione aziendale più giusta perché in grado di offrire opportunità reali di crescita, ancor prima di condizioni salariali e lavorative adeguate. Il giovane ha tutto l’interesse di imparare e mettersi alla prova, un aspetto che però difficilmente può essere incentivato se a venir garantito è un sussidio economico offerto senza lavorare. E chissà, senza dubbio servirebbero nuovi strumenti e meno burocrazia da parte dello Stato sulle aziende, che per mettere in regola il personale sono costrette ad affrontare costi insostenibili. Intanto, però, le adesioni arrivano con il contagocce, anche quando – stando a quanto dicono i ristoratori – i contratti offerti garantiscono paghe dignitose, nella media degli stipendi italiani. Un grave problema che deve essere attenzionato perché il settore garantisce (secondo i dati pre-pandemia) il 13% del Pil nazionale.

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