Il fastidio di pensare – Oggi a me, domani a te

StrettoWeb

Fra le argomentazioni che Maria Zakharova, la illustre portavoce del potente ministro russo Lavrov, ha rivendicato nei confronti dell’Occidente per giustificare l’azione governativa (e che trovavano di già larghissima eco nel mondo culturale italico), c’è quella che da diversi anni l’Occidente (e per Occidente, beninteso, si intendono gli Stati Uniti di cui tutto il resto sarebbe poco più che una fiacca ma chiassosa appendice) ha mandato il suo esercito in giro per il mondo un po’ dovunque: non era forse in Afghanistan? E nei Balcani? E in Libia? E in Iraq? E ci fermiamo qui solo perché, a voler scorrere un mappamondo, non c’è stata regione in questo miserevole pianeta dove nell’ultimo ventennio non c’è stata guerra o guerricciuola dove con una ragione o l’altra l’esercito a stelle e strisce non abbia fatto avvertire la sua presenza. E la Russia in tutto questo tempo è stata rispettosamente ad osservare in silenzio. E adesso che ci si vuole prendere un po’ d’Ucraina, improvvisamente, ecco tutto questo trambusto e questa sorpresa come se si stesse facendo chissà cosa, come se si fosse dei bruti e non fossero queste invece le regole che da sempre hanno guidato il mondo e l’umanità, dove il più forte ha il diritto di divorarsi il più debole, magari inventandosi qualche scusa tanto per giustificare la mangiata davanti alla diplomazia. Il giornalista che quasi la rimprovera di questo gestaccio balbettando qualche sussulto morale passa per un bambino appena arrivato sulla terra: il mondo è questo e questo sempre sarà, e a sorprendersene si fa la figura di chi gira ancora con i calzoni corti in  mezzo agli adulti e non ha compiuto il salto generazionale che ci porta a guardare la realtà per come è e rimane a vederla per come sarebbe bella che fosse. Insomma, tutti hanno sempre fatto così, il mondo non è iniziato ieri, e se c’è da stupirsi è proprio dello stupore di tutti: questi bombardamenti sono stati investiti da un tale frastuono, tutti si scandalizzano, gridano, e i russi non comprendono: anche gli occidentali hanno buttato le loro bombe, e noi non ci siamo mica stupiti: non era loro diritto di uomini forti verso i deboli?

Gli americani, si sa, sono un popolo di idealisti un po’ pasticcioni. Un loro presidente che non era proprio una cima voleva esportare nientemeno la democrazia tra gli arabi, addirittura, quando già nel Sudamerica ci sono degli Stati dove se si riesce a fare due elezioni consecutive senza che intervenga l’esercito è un risultato da restare sbalorditi. Insomma, certe pretese di raddrizzare il mondo fanno davvero tenerezza. Le guerre le vincono anche in fretta, non ci vuole poi molto, ma poi stanno lì a grattarsi la testa per tentare di capire cosa vogliono fare in quell’angolo di mondo dove sono andati con questa spregiudicata idea della civiltà. Insomma, stanno vent’anni in Afghanistan, spendono un patrimonio, e poi quando se ne tornano in quindici giorni tutto torna come prima. In Iraq, in Bosnia, in Serbia forse adesso si sta un po’ meglio di prima, ma non si sa quanto può durare. E in Libia, in Somalia e quant’altro, tra una dittatura, una pulizia etnica, una guerra civile, non è che poi quello che ne è venuto fuori dopo che se ne sono andati sia un granché: questa è l’arroganza di sentirsi sempre al di sopra di tutti, come esportatori di civiltà, quando il vizio e l’ambizione di combattere contro la storia e le tradizioni culturali si è rivelato sempre troppo grande. Si potrebbe dire che se in fondo gli arabi non vogliono fare andare a scuola le donne o hanno capito che non sanno guidare, saranno anche cavoli loro e se qua e là si è deciso che qualche minoranza non gli piace e la vogliono eliminare, e va bene, si vede che, loro che ci sono dentro, avranno anche le loro ragioni: bisogna rispettare il diritto di ogni popolo di autodeterminarsi e capire che non ci siamo solo noi e anche le tradizioni sociali e culturali degli altri hanno una loro ragione che va rispettata. In questo i russi, certamente, hanno una visione della geopolitica molto più seria e pragmatica: loro non si sono mai mossi di fronte alle tragedie del mondo capendone da subito l’inutilità: se i popoli si vogliono massacrare, saranno pure cavoli loro; se quello vuole una società etnicamente più pulita, faccia pure, sono problemi suoi. I russi hanno una visione della politica molto più matura e più pratica: noi non vi abbiamo mai disturbato nella vostro sogno infantile di rendere il mondo un posto migliore, adesso lasciateci un poco in pace nello sbrigare questa cosettina nostra. E invece adesso scoprono che questa politica di reciproco lasciarsi in pace non va più bene, e da questo punto di vista hanno tutti i diritti di sentirsi offesi. Ma insomma, noi mica abbiamo armato i talebani, mica abbiamo armato i somali, Milosevic, Saddam e suo cognato che si dilettava con i gas e via dicendo, e ora che ci vogliamo prendere un bel pezzo di Ucraina tutta questa esagerazione con la resistenza. Gli occidentali, con il loro becero moralismo, vogliono interrompere questo patto di mutuo silenzio tra nazioni forti e del loro reciproco diritto di allungare le mani: adesso fateci prendere qui, poi noi staremo zitti quando voi continuerete a bombardare da qualche altra parte: si fa così tra i potenti: e mica bisogna giustificare tutto, la morale va bene solo per i fessi che si leggono i giornali. È il potere che giustifica sé stesso. Tutto, nel pensiero politico russo, si regge solo sui rapporti di forza. Sono già morti decine di migliaia di soldati, ma nel pensiero stalinista, quello che analizzava il suo rapporto con il papa sul numero di divisioni corazzate, i cadaveri sono solo un dato statistico. Quando Machiavelli descrisse come Cesare Borgia fece sgozzare Vitellozzo Vitelli dopo averlo invitato a cena commentò questo episodio politico come “impresa rara e mirabile”: da allora nel mezzo millennio successivo la scienza politica ha compiuto un dibattito molto intenso ed elaborato, ma i russi si sono fermati lì ritenendo che non ci fosse più nulla da imparare.

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