Il tramonto di Draghi e la brutta fine della farsa “dei migliori”

StrettoWeb

Le dimissioni di Draghi riportano l’Italia alle elezioni: il cardine della democrazia che fa disperare proprio quelli che da mesi esaltano la superiorità dell’occidente liberale

La crisi di Governo culminata con le dimissioni di Draghi e l’ormai imminente scioglimento delle Camere è il karma della politica: in un secondo sono caduti tutti i teoremi del terrore alimentati fino a ieri da chi difendeva con le unghie e con i denti la propria poltrona di potere. “Se cade Draghi sarà un disastro, non ci sarà un nuovo Governo per otto mesi, l’Italia diventerà instabile, lo Spread salirà alle stelle, moriremo tutti“: e invece oggi il sole è sorto come ieri, non c’è stata alcuna apocalisse, gli indicatori economici e finanziari sono migliori di un mese fa quando con Draghi saldamente al comando i titoli di stato e lo Spread avevano raggiunto il valore più alto da oltre dieci anni proprio per l’inconsistenza del “governo dei migliori(sigh!) che non è riuscito a dare alcuna risposta al Paese. E torneremo a votare subito: le ultime indiscrezioni sulla data per le urne indicano il 25 settembre, cioè tra appena due mesi. Significa che le cose si possono fare anche in fretta, e non era vero che doveva passare tanto tempo e che con l’alibi delle “emergenze” non si poteva votare restituendo il diritto della scelta al popolo sovrano. Dopotutto lo hanno fatto in tutti gli altri Paesi del mondo, persino in piena pandemia!

Ieri Draghi in Senato ha rivendicato di aver guidato un “governo di alto profilo“: aridaje con la storia dei migliori! Eppure su 60 milioni di Italiani un Ministro degli Esteri migliore di Di Maio anche noi dalla nostra Redazione non ci metteremmo che qualche minuto a trovarlo; o un Ministro della Salute migliore di Speranza, o un Ministro dei Trasporti migliore di Giovannini, o un Ministro dell’Interno migliore di Lamorgese, o un Ministro della pubblica amministrazione migliore di Brunetta, o un Ministro dei Giovani migliore di Dadone, o ancora un Ministro delle Regioni migliore di Gelmini. No, un “Ministero delle Regioni” noi non lo avremmo neanche istituito: a cosa dovrebbe servire? Ma comunque Maria Stella Gelmini da ieri detta Xanax nella squadra “dei migliori” non ce la saremmo mai messa in ogni caso.

Draghi in Senato ha anche sottolineato “l’impossibilità di ignorare la mobilitazione senza precedenti di questi giorni“, cioè quelle sceneggiate che gli italiani hanno sbeffeggiato sui social con la più classica ironia: persino gli stormi di rondini su Roma hanno chiesto a Draghi di restare, in quella drammatica deriva autoreferenziale in cui l’élite del Paese ha provato a difendersi portando quattro gatti nelle piazze, strumentalizzando i bambini, facendo firmare appelli a Sindaci e Rettori compromessi col potere centrale, sottoscrivendo comunicati stampa improponibili in un mondo che non fosse orwelliano, divulgati persino dalle Associazioni dei Clochard (e non è uno scherzo). Eppure ieri sera a manifestare in piazza la rabbia e la tristezza per la caduta di Draghi non c’era nessuno: proprio come in Pakistan dove, da quando il parlamento il 9 aprile ha sfiduciato Imran Khan, è in corso una spontanea (e reale) mobilitazione popolare che spinge decine di milioni di persone nelle piazze del Paese.

Ma che ormai persino in Pakistan ci siano maggiori spinte democratiche rispetto all’Italia non deve sorprendere: Draghi è lo stesso premier che ieri al Senato ha avuto il coraggio di auto-celebrarsi richiamando la “straordinaria mobilitazione di questi giorni“, dopo che per mesi ha ignorato milioni di cittadini che ogni sabato riempivano tutte le piazze d’Italia con bagni di folla pacifici e spontanei soltanto per chiedere la fine delle restrizioni e del Green Pass. Anzi, di fronte a quella – davvero straordinaria – mobilitazione, il “governo dei migliori” mandava i blindati con idranti e manganelli. E non è l’unica bugia che il banchiere ha raccontato agli italiani: a luglio 2021 diceva che “il Green Pass ci da’ la garanzia di trovarci soltanto tra persone non contagiose“, e ancora che “chi non si vaccina si ammala e muore“. Pochi mesi fa, infine, l’ennesima burla: “dobbiamo scegliere tra la pace e il condizionatore“.

E Draghi è lo stesso premier che in 17 mesi di Governo non ha mai messo piede, neanche una volta, in Calabria e Sicilia: è andato più spesso a Washington, Kiev, Ankara, Tripoli, Tel Aviv, Gerusalemme che a Palermo e Reggio Calabria. Mai, alcun predecessore di Draghi a Palazzo Chigi, aveva disdegnato della propria presenza le due Regioni più meridionali d’Italia che pure avrebbero bisogno disperato di una forte e autorevole presenza dello Stato e che sono strategiche per il futuro del Paese e su cui investire il più grande numero di risorse per infrastrutture portatrici di sviluppo, su tutte il Ponte sullo Stretto. Che a Draghi è interessato meno delle sue partite a scacchi online.

Ma non c’è stato niente da fare: neanche le rondini di Roma sono bastate. Draghi se ne torna a casa e con lui prepara le valigie anche quella ciurma di “migliori” rimasti senza neanche un partito (vedi Di Maio, Brunetta, Gelmini) e destinati all’oblio. L’imminenza delle elezioni sta facendo disperare proprio quelli che da mesi predicano la superiorità dell’occidente civile e liberale, ma fino ad oggi hanno fatto di tutto pur di non dare la parola ai cittadini. Democratici a convenienza.

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