Il fastidio di pensare – La protesta ad veniendum

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Al di là di profonde motivazione e strategie politiche, crediamo che in fondo alla guerra in Ucraina ci sia il semplice pensiero che da sempre guida le umane vicende e che, spogliato di retorica e abbellimenti d’uopo, si può riassumere nella banale frase: “sono più forte e quindi me lo prendo”. Tutto questo ha guidato da sempre la storia umana e ha determinato i confini dell’orbe terraqueo come li vediamo fino ad ora in un normale mappamondo. Questo non esclude, naturalmente, che si tratta di un’azione moralmente abietta, ma se si toglie la maschera alla storia non si vedrà altro che rapine abbellite e giustificate alla meno peggio. La Russia, semmai, non è così forte come sembra: forse lo è militarmente ed è un paese gigantesco, ma è un paese tremendamente fragile, con un PIL da terzo mondo e milioni di operai che lavorano, se gli va bene, per l’equivalente di meno di duecento euro. Ma questo non ha mai rappresentato uno svantaggio politicamente: quando ha assaporato la democrazia questa è diventata una pericolosa anarchia, e allora subito questo popolo ha capito di avere bisogno di un ceto politico forte. Senza stampa, senza opposizione, che sono belle cose, certo, ma diventano lussi se poi dissolvono lo Stato.

Tutto questo ha creato una classe dirigente di satrapi con un enorme potere di ricatto, che l’Occidente non sembra avere capito bene. Aspetta che le piazze di Mosca si riempiranno di gente che andrà a protestare contro la guerra e il carovita. Ma le piazze russe resteranno vuote. Gli economisti dicono che gli effetti delle sanzioni sono stati duri ma non come ci si sarebbe aspettati; ma fossero stati anche pessimi, quelle piazze sarebbero rimaste ugualmente vuote, e non solo perché la popolazione russa è una popolazione abituata a ben altri sacrifici. Controllare una dittatura non è difficile come controllare una democrazia. Se la gente scende in piazza a Parigi, o a Londra o a Washington, la devi ascoltare. La gente a Mosca in piazza non scende neppure, e quando è scesa in piazza disperata ad Astana è bastato sparargli addosso (il sogno di certi politici italiani qui si può realizzare) e tutti sono rientrati frettolosamente dentro.

Dopo l’ultima carestia nella Corea del Nord non si sa nemmeno quanti ne erano morti, ma non risulta che nessuno avesse protestato. I poveri sono abituati alla sofferenza, la sopportano stringendo i denti, i ricchi gridano e vogliono soluzioni. E soprattutto le persone in Russia contano poco: Stalin diceva che sono solo strumenti per portare avanti un progetto politico e quando ne muoiono milioni sono solo statistica. E anche la guerra adesso comincia ad avere risvolti umani: in sei mesi sono già morti soldati russi quasi quanto americani in dieci anni di guerra in Vietnam, ma nessuno protesta; qui sono solo carne da cannone. Ma questa guerra ha un risvolto economico: come in tutti i paesi di bassa tecnologia, la Russia sfrutta le sue risorse territoriali, e sperava così di tenere a bada l’Occidente. Ma l’Occidente da tempo si è convertito a una sorta di etica che vuole bandire la guerra dalle umane vicende e pensa di sostituire l’economia alle armi.

Ora qui entrano in conflitto due tipi di etica, da sempre analizzati dagli studiosi di filosofia. Una è la cosiddetta etica della responsabilità, e dice che la politica non si può occupare della giustizia ma dei fini: detta in termini più rudi: “a noi dispiace per l’Ucraina, siamo convinti della vergogna di ciò che sta subendo, ma dobbiamo pensare innanzitutto ai nostri problemi e poiché abbiamo bisogno del gas Russo ognuno pensi per sé”. L’altra è la cosiddetta etica della giustizia, di matrice kantiana. Kant diceva che la giustizia doveva essere comunque al di sopra di tutto nelle decisioni, al di fuori di ogni compromesso, e se anche il mondo ne andasse distrutto, pazienza. I russi stanno facendo da mesi azioni vergognose e adesso non possiamo semplicemente girarci dall’altra parte solo perché abbiamo bisogno del loro gas. La politica, chiaramente, è fatta anche di compromesso, ma questo sarebbe un compromesso infame.

Solitamente la politica sceglie la responsabilità alla giustizia, perché sente tutto il peso delle sue azioni. Eppure, questa volta la politica europea ha scelto l’etica kantiana. Ha detto chiaramente che non riconoscerà le occupazioni russe, ed è una scelta politicamente dignitosa e altissima, ma economicamente dannosa, e che la costringerà a dare risposte alla gente. Ogni scelta comporta delle conseguenze: non sempre avere la testa alta ti permette di avere anche il portafogli pieno, al di là di tanta retorica. La Russia con dispetto brucia il gas al confine e si prepara ad essere colonizzata dalla Cina, ma risposte alla gente non ne deve dare.

Ma quello che ci stupisce è la leggerezza di alcuni commentatori come Marco Travaglio. Travaglio è un sostenitore del primo tipo di etica, e fin qui nessuna obiezione: ognuno ha le sue idee. Ormai la Russia quello che s’è preso s’è preso, riconosciamoglielo e basta, riallacciamo i rapporti da buoni amici e prendiamoci quel gas, perché il nostro interesse è lì. Gli italiani, si sa, o Francia, o Spagna, purché che il termosifone resti aperto. Ma lui non ha dubbi che se non lo facciamo è solo per puro servilismo all’America. Naturalmente ci sono infiniti modi di interpretare una decisione, magari avrà anche ragione, ma per lui chi guarda la morale non è un idealista ma solo un servo dell’America. “La Russia ha invaso l’Ucraina, meno male – si dicono a Washington – adesso finalmente abbiamo la scusa per riprenderci l’Europa che stava fuggendo via. Sempre che non gli venisse in mente di lasciargliela a quei simpaticoni”. Ma tra poco diranno che pure l’invasione l’hanno programmata gli americani.

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