Il fastidio di pensare – Le non cose

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Cesare Marchi, l’ameno scrittore veneto, sottolineava l’importanza dell’eufemismo in una società costretta a scontrarsi con i suoi limiti: se non puoi migliorare i problemi delle persone, chiamali almeno in un altro modo, e vedi che d’un tratto sembreranno spariti. E così la gente ha cominciato ad essere chiamata non per quello che è, ma per quello che non è: sono spariti dall’Italia ciechi e sordi, sostituiti da non vedenti e non udenti, ed è come se gli fosse tornata la vista e l’udito. Poi si è deciso, per esempio, che quella del bidello fosse una professione degradante, ed allora eccoli diventati non docenti, ma siccome sembrava una cosa troppo generica, eccoli adesso collaboratori scolastici. Non è cambiato nulla, ma è un mondo più felice rispetto a quello di una volta troppo diretto, crudo, che ti trafiggeva. Ma quello almeno era immediato, si capiva subito. Qui c’è da ragionare di fronte a certe espressioni, come quello che su Facebook scrive che è padrone di sé stesso, e alla fine scopri che è solo un modo nobile di dire che è un disoccupato, che assomiglia a Woody Allen che aveva riempito il pugno di quello a colpi di mascella. Il mondo si rinnova, siamo solo noi che siamo fermi ai vecchi schemi.

Adesso in Russia la guerra, per esempio, la chiamano “operazione militare”: ci sono sempre soldati, armi, e decine di migliaia di morti, ma non bisogna cadere nei vecchi schemi: è solo un’ operazione militare. È l’Occidente che non sa vedere le cose, ma lì sono avanti (ma li stiamo raggiungendo anche qui, con il political correct e la cancel culture ci sono un sacco di parole che guai a nominarle: ogni società ha le sue imbecillità). E ora, di fronte alla timida avanzata dell’Ucraina, lì si sono affrettati a chiarire che non sono gli ucraini ad avanzare ma loro a “riposizionarsi”. Come dire: non sei tu che mi cacci, ma sono io che me ne vado. “Vabbé, basta che lasciate libere le città – direbbe qualcuno – il resto sono solo sottigliezze semantiche”. Solo che adesso di ritirata strategica e di riposizionamento sentiamo parlare nelle sue spiegazioni anche Fabio Mini, illustre generale che analizza la campagna per Il Fatto Quotidiano e dietro lui, a partire da Travaglio, i vecchi teorici dell’egemonia militare russa a cui bisogna concedere ogni cosa: non è cambiato nulla ovviamente, non avrete mica creduto che sia cambiato qualcosa perché gli ucraini hanno riconquistato un fazzoletto di terra? E che i russi se ne stiano andando? Sono loro che si stanno riposizionando. Siete proprio degli imbecilli se credete che ora per due città insignificanti che tra l’altro gli hanno dato loro tutto torni come prima. Questa timidissima riconquista non cambia nulla di quanto abbiamo detto finora.

Premettiamo che noi di questioni militari non abbiamo molta competenza, e quindi di fronte alle sue parole, giocoforza, chiniamo rispettosamente il capo. Anche se poi, come diceva Sciascia, crediamo che non sia una carica, per quanto illustre, a determinare la competenza in un campo: in questo paese c’è tanta gente messa nel posto sbagliato. Per esperienza, nel nostro campo, che è quello umanistico, potremmo dire che abbiamo avuto il piacere di avere condiviso l’amicizia di illustri docenti universitari, ma di averne conosciuti anche tanti altri a cui non avremmo dato non solo la cattedra ma neanche un banale diploma. E d’altronde basta vedere i disastri che hanno fatto gli illustri tecnici che hanno chiamato a salvare questo paese o tanti altri super manager strapagati a cui banali ragionieri avrebbero potuto insegnare qualcosa.
Facciamo quindi solo banali considerazioni per cui non è necessario avere frequentato l’accademia modenese. Intanto che i russi lascino così l’Ucraina non lo ha creduto mai nessuno, anche perché non sarebbe solo una sconfitta militare, ma una disfatta sul piano politico e storico del regime putiniano, e per questo temiamo che Putin, dovesse essere messo alle strette, sarebbe tentato anche a qualche follia (sempre che scatenare una guerra nucleare per prendersi due modeste regioni non sarebbe una disfatta ancora più grande di fronte al mondo e alla storia).

Però dovrebbero spiegarci questo generale e questi illustri commentatori che parlano di riposizionamento, perché un esercito dopo che ha bruciato soldi, armi e soldati (che per loro sono suppergiù la stessa cosa) per conquistare quelle città dopo qualche mese scopre improvvisamente che in realtà non gli servivano poi tanto e le lascia libere, e perché quegli alti vertici militari adesso vengono silurati. Dovrebbero spiegarci perché questa grande potenza militare era partita con idee magniloquenti di una veloce conquista dell’Ucraina, poi con perdite considerevoli riesce a impadronirsene solo di una fetta e adesso dopo mesi sembra non riuscire a gestire neanche quella. Queste cose non le comprendiamo, e siamo confusi appunto perché le cose non hanno più un nome preciso in questo mondo moderno, come dopo che il blitzkrieg per impadronirsi di Kiev fallì miseramente si scoprì che non era un’operazione di conquista ma solo una “operazione diversiva”. Naturalmente noi non sappiamo dove porterà questa ripresa degli ucraini che è ancora ai primordi, e se ci sarà sarà a carissimo prezzo perché non stanno combattendo solo contro un esercito, ma contro l’orgoglio di un regime. Ma finora siamo di fronte, per dirla alla Cesare Marchi, di fronte a chi voleva uscirne solo con le mani alzate, di una “non sconfitta”.

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