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‘Nulla di nuovo sul fronte occidentale’: il dibattito parlamentare sulla fiducia e sulle prime azioni del governo Meloni ci ha dato l’impressione del déjà vu.

La ‘resistenza’ sta dispiegando tutte le sue armi e i suoi eroismi contro quella che la ‘sinistra’ – carica di puro sentimento democratico – definisce ‘destra populista e borgatara’: l’esempio più alto di sacrificio l’ha dato Furio Colombo che ha immolato quel che gli resta della sua intelligenza per attaccare Giorgia Meloni, rea di aver portato con sé la figlia di 6 anni a Bali dove andava per il G20: l’ex direttore de ‘L’Unità’ e rappresentante della FIAT, nel CdA della ‘Overseas Union Bank & Trust’ di Nassau, parlando dello scontro tra l’Italia e le Ong ha messo alla gogna Meloni e sua figlia paragonandone il comodo viaggio, in top class, con quello dei bambini migranti che annegano nel Mediterraneo. Ci aspettiamo che il sig. Colombo dica la stessa cosa quando Mattarella, nei suoi viaggi, porta con sé la figlia cinquantenne.

Conte e Letta si sono autoproclamati ‘vigilantes’ sulla costituzione e sui diritti. La prima obiezione che PD e 5S hanno avanzato al nuovo governo è che esso non ha ottenuto la maggioranza dei voti degli aventi diritto al voto ma solo quella del 44% dei votanti: è vero. Ma si deve ricordare all’ex prof. di Sience po’ che la legge elettorale vigente l’ha fatta il PD e, che tutti i sistemi elettorali – anche i maggioritari puri – producono maggioranze relative non soltanto rispetto all’elettorato ma anche rispetto alla popolazione.

La seconda e correlata obiezione è che questa maggioranza/minoranza avrebbe a che fare col fascismo e che bisognerebbe sottoporre la Meloni e c. a un esame di antifascismo, atlantismo ed europeismo. La preoccupazione antifascista è sacrosanta. Se ci fosse il pericolo di un ritorno al fascismo, tutti scenderemmo in piazza; ma, ammesso che in queste fila vi siano molti, o pochi, che possano avere avuto qualche simpatia per il ‘deprecato ventennio’, fino a quando vorremo segregarli con l’uso strumentale dell’antifascismo? Non si dovrebbe chiudere la partita come si è fatto con i comunisti, ai quali non abbiamo chiesto alcuna abiura?

Quanto all’esame di atlantismo, la cosa che più fa ridere è che a chiederla siano i 5S, programmaticamente anti-NATO, e quella parte del PD che, a suo tempo, dovette aspettare l’opportunismo di Berlinguer – eurocomunista brezhneviano – per sentirsi più sicura sotto l’ombrello atlantico anziché sotto quello della patria del comunismo. E poi, se si vuole fare l’esame a Meloni e c., non è inutile ricordare che il MSI, dopo l’opposizione al Patto Atlantico condivisa con il PCI nel 1949, già dal 1952 si schierò apertamente a favore della NATO mentre i comunisti continuarono ad opporsi fino alla caduta del ‘Muro’. Anche sull’Europa, se si dovessero prendere le misure, dovremmo fare appello alla storia: il PCI votò contro la CEE e l’Euratom nel 1957 mentre il MSI votò a favore insieme a tutti gli altri partiti meno il PSI, ancora non emancipato dal ‘frontismo’, che si astenne: il PCI, che definiva la CEE come «la forma sovranazionale che assume nell’Europa occidentale il capitale monopolistico», cominciò a cambiare posizione solo dopo aver cambiato nome.

Qualcuno ha pure notato che quando Meloni parla di libertà non fa altro che annaspare in acque non sue: lo dimostrerebbe la sua adesione al celebre concetto, formulato da Giovanni Paolo II, secondo il quale «libertà non è quella di fare ciò che si vuole ma ciò che si deve». E questo, per chi interpreta la libertà come licenza, è naturalmente una sgrammaticatura imperdonabile: peccato che anche i ‘correttori’ – almeno alcuni di essi che si ritengono i più ‘autorevoli’ – annaspino nelle sabbie mobili della loro culltura totalitaria, mai ripudiata: Fausto Bertinotti – il ‘rifondatore comunista’ che voleva (vuole) ‘ri-fondare’ le basi della dittatura (sia pure del proletariato) –  he detto che, con il governo Meloni, «siamo di fronte a una riedizione di un tempo che pensavamo lontano, cioè la cultura politica degli anni ‘50 [qui Bertinotti non si riferisce alla cultura fascista ma a quella anticomunista] … Le opposizioni e la maggioranza sono state annichilite dal presidente del Consiglio, in una piena dittatura». Evidentemente, Bertinotti si è sentito scippato del monopolio di una tale forma di governo

Alla Camera, Meloni ha fatto due discorsi, uno di presentazione del programma e uno di replica agli intervenuti, sfoggiando una notevole capacità di sintesi e di chiarezza di idee – che possono piacere o no – nonché la piena coscienza della gravità dei problemi che il suo governo dovrà affrontare. Meloni ha anche dimostrato di avere un buon senso dell’humor. Le sole parole che i sedicenti ‘progressisti’ hanno saputo dire di positivo del nuovo Presidente del consiglio sono state quelle inevitabili e di circostanza sul primo presidente del consiglio donna in Italia. Parole però subito cancellate dall’accusa secondo la quale Meloni avrebbe una concezione maschilista del potere; lo ha detto la Boldrini: «Credere che lei premier possa essere una conquista per le donne è un errore, uno specchietto per le allodole»; lo ha detto la Serracchiani, la quale teme che Meloni voglia le donne «un passo dietro agli uomini e dedite solo alla famiglia e ai figli … sappia che troverà in questi banchi e sicuramente nella maggioranza del paese, un’opposizione fermissima!». Meloni l’ha sotterrata nel ridicolo: «On. Serracchiani, mi guardi! le sembra che io sia un passo dietro agli uomini?» Ugual sorte è toccata a Enrico Letta: «Enrico, ma veramente dopo che hai tentato di spiegarmi come devo fare la destra, ora vuoi tentare di spiegarmi cosa significhi essere una donna? Ma ce l’hai un senso del ridicolo?»

Sempre a proposito del vezzo che pare abbia Meloni di farsi chiamare ‘il presidente’, un tale Montanari ha ‘twittato’ questa perla di saggezza: «direste di una donna ‘il supplente’ … ‘il docente’? A chi verrebbe in mente un simile errore? Se lo si fa per ‘presidente’ è solo per ragioni ideologiche: perché il potere, da noi, è ancora e solo maschile. Tutto qua».

Tutto qua. Forse, per vedere una simile commozione nella ‘sinistra’, dovremo aspettare l’elezione di una ‘papessa’, che però dovrà non farsi chiamare ‘il Papa’.

Un’altra critica che si è levata alta e forte contro il governo è stata quella dell’avere macchiato il nome del ministero della famiglia aggiungendovi la parola ‘natalità’: per i critici, in una tale oscena parola si riverbera una eco della politica demografica di Mussolini e, cosa più grave, il termine ‘natalità’ viene associato all’altro, altrettanto osceno, di ‘famiglia’: la sinistra ha ragione, Meloni non sa che i bambini si trovano sotto il cavolo. Quanto alla sovranità alimentare solo Macron può invocarla: se lo fa Meloni si rischia l’autarchia.

In tema di rapporti europei – a parte la professione di fede europeista e atlantica che il celebrato Michele Santoro definisce ‘feroce’ ed esibita «per rompere un certo isolamento internazionale» – Meloni ha detto quattro cose importanti: 1) che bisogna ripensare e rifondare le istituzioni europee per renderle capaci di avere una politica estera e di difesa comune; 2) che la BCE sbaglia a rialzare il tasso d’interesse visto che l’inflazione non è causata da un eccesso di domanda ma da fattori esogeni; 3) che una tale politica può inclinare il piano della nostra economia verso la recessione: Cui prodest?; 4) sull’immigrazione, Meloni ha ricordato poi come il famoso piano sottoscritto dalla Lamorgese a Malta nel 2019 e in Lussemburgo nel 2022, non sia mai stato attuato se non nella parte che prevede che lo Stato di prima accoglienza (cioè l’Italia) debba provvedere agli immigrati sbarcati a frotte dalle navi ong., mentre ne sono state del tutto accantonate la seconda e la terza parte che prevedono la redistribuzione dei migranti tra gli stati membri e il rimpatrio dei non aventi diritto negli stati di provenienza e di transito. La sua idea è dunque quella di far valere il patto nella sua interezza in modo da assicurare agli Stati (tutti) la possibilità di regolare i flussi migratori, come avviene ovunque nel mondo; di proporre una piano Marshall europeo per l’Africa al fine di promuoverne lo sviluppo, frenarne l’emigrazione ed esercitare in quel continente un’influenza che oggi sembra più nelle mani di Russia e Cina.

Tali obiettivi e valutazioni sono stati variamente criticati:1) sulla rifondazione dell’UE si è detto che Meloni cova un’idea confederale di stati sovrani e non quella federalista dei veri europeisti: di grazia, chi sono questi federalisti? Fuori i nomi; 2) sulla BCE è stato opposto che, si, Meloni ha ragione, lo hanno detto pure Macron, Sanchez e Costa ma non si deve dirlo nel modo così perentorio usato dal nostro Presidente del consiglio: la BCE si potrebbe offendere e punire l’Italia; 3) sull’immigrazione, il discorso venne considerato dagli oppositori come un proclama di becero ‘sovranismo’ e dell’intenzione di rinnovare la politica ‘illegittima’ dei porti chiusi.

La successiva vicenda delle navi ong a Catania sembrerebbe dare ragione ai critici i quali però non offrono alcuna soluzione che non sia quella dell’accoglienza illimitata dei migranti: giocando sui numeri e sulle percentuali essi fanno finta di non accorgersi del problema rappresentato dall’immigrazione clandestina e accusano il governo di vedere l’emergenza là dove non c’è ripetendo lo slogan insulso: «che cosa sono 90.000 immigrati (all’anno) su 59 milioni di italiani»? che cosa è, in fondo, un rubinetto che da anni gocciola (sempre più intensamente)? Appare chiaro che gli ‘accoglienti’ intendono aspettare che il vaso trabocchi.

Se si guarda alla pressione migratoria da tutto il mondo, ci rendiamo conto di trovarci di fronte a un bivio: aprire le porte e rischiare che gli appelli all’accoglienza s’infrangano, presto o tardi, nella violenza, dall’una e dall’altra parte, o regolare i flussi in base alle nostre esigenze e capacità. Non si può confondere il soccorso in mare con l’intenso movimento ‘avventuroso’ di migranti sfruttati da vari tipi di trafficanti che si muovono a terra e in mare; né v’è dubbio che serva una politica (italiana e europea) di regolamentazione dei flussi migratori e che per farla serve anzitutto che cessi la migrazioni illegale, con o senza ong.

La Francia – vigilante sul rispetto dei diritti umani in Italia e, perciò, grande protettrice di ‘terroristi rossi’ – ha rafforzato i contingenti di polizia alle nostre frontiere: a Ventimiglia i respingimenti dei migranti durano da anni. Ad essere sinceri, dobbiamo dire che la Francia ha ragione di adottare questi provvedimenti; infatti, non vi è Stato al mondo che faccia entrare qualcuno nel suo territorio se non ha passaporto, visto, mezzi di sostentamento.

Naturalmente i respingimenti li può fare solo la “Ville Lumière”. Lo dimostra l’attacco portato all’Italia dal governo francese che ha addirittura minacciato ripercussioni e conseguenze: ci ha ricordato che l’Italia gode di sovvenzioni europee e ha intimato anche agli stati membri di non dare seguito agli accordi sulla redistribuzione dei migranti. Con il sottinteso avvertimento (mafioso) di ripercussioni negative sugli interessi economici italiani dipendenti dall’UE: patto di stabilità e PNRR. Un bel ricatto. Intanto i 234 migranti sbarcati a Tolone saranno immediatamente redistribuiti tra ben 11 paesi o rimpatriati immediatamente negli stati di origine: in Francia ne resteranno ben pochi. Ma perché questa stessa redistribuzione – nonostante i cosiddetti ‘accordi’ di Malta e del Lussemburgo – e il rimpatrio non si fanno in ugual misura anche per i migranti sbarcati in Italia a migliaia?

Quale tra i nostri precedenti governi ha fatto un baratto tra migranti e sovvenzioni?

Che la Francia abbia una concezione imperiale dell’UE lo sapevamo; colpisce però il tempismo della chiara interferenza francese contro il governo ‘sovranista’ italiano: viene il sospetto che a ‘ordire’ la trappola sulla Ocean Viking sia stata pure qualche ‘manina’ italiana.

Sempre in tema di immigrazione, segnaliamo che, da Bonino a Calenda, da Letta a Frattoianni, si blatera contro la legge Bossi-Fini, che è del 2002: ammessa la necessità di rivedere la legge, come mai questi catoni non hanno fatto nulla per abrogarla o cambiarla nei tanti lustri in cui sono stati al governo con Prodi, Monti, Letta, Renzi, Conte e Draghi?

Sul tema più scottante della politica estera, la guerra russo-ucraina, il governo Meloni intende continuare nell’appoggio all’Ucraina e ha provato finora di essere conseguente con una tale decisone; il PD, invece, ha provato ancora una volta di essere in pieno marasma e, come l’asino di Buridano, di non sapere scegliere tra le due mangiatoie: da un lato specula sulle gaffe ‘putiniane’ di Berlusconi e Salvini, dall’altro partecipa a Roma a una manifestazione per la pace insieme con le ‘anime belle’ che vogliono il disarmo ‘unilaterale’ (della NATO) e con i 5S, che hanno intimato al governo di «non azzardarsi a inviare altre armi all’Ucraina» e chiedono la pace anche al costo della resa dell’Ucraina. Che dire?

Meloni ha presentato un programma di governo sul quale poco ci sarebbe da dire se non che, come dice Calenda, si tratterebbe di una lista della spesa senza la minima indicazione di come pagare. Ma Calenda – che, per essere preciso, avrebbe fatto un discorso di 4 giorni – era distratto: Meloni ha indicato con sufficiente chiarezza le misure che intende adottare e le risorse necessarie a partire dalla legge di bilancio del 2024: infatti, le scelte di fondo per la legge di bilancio per il 2023 sono già fatte da Draghi e sarebbe impossibile cambiarle nel mese restante per approvarla. Sulla politica fiscale, Meloni ha pure annunciato di voler tentare di produrre uno shock tale da dare una spinta decisiva allo sviluppo agendo sulle due leve del ‘cuneo fiscale’ e della flat tax sui redditi incrementali rispetto all’ultimo triennio, per incentivare la produzione di nuova ricchezza e di nuova occupazione. Le è stato subito obiettato che questa sarebbe una politica a favore dei ricchi. Forse dovremmo aspettarci di meglio se lasciassimo tutte le risorse in mano allo Stato? O, forse, non si deve puntare a mobilitare tutti i ceti produttivi e a ridare allo Stato il ruolo naturale di controllore del mercato, privandolo però di quelle armi asfissianti che sono la burocrazia fuori controllo, il fisco esoso, lo statalismo improduttivo?

Il massacro della Meloni e della sua maggioranza è stato portato a termine dall’opposizione, anche per mano televisiva, sulla questione del tetto all’uso del contante che il governo vorrebbe portare a un livello più alto. Apriti cielo! L’accusa più lieve contro il governo è stata che l’innalzamento del tetto sarebbe un aiuto agli spacciatori e ai mafiosi. Certo, com’è noto, solitamente mafiosi e spacciatori pagano e vengono pagati col Bancomat e rilasciano regolare fattura elettronica. A parte gli scherzi, se l’uso del contante può avere questi effetti, si pensi a come evitarli piuttosto che a introdurre o allargare divieti e proibizioni: l’illegalità non sarà mai controllata dal tetto al contante; la stessa evasione fiscale spicciola – non parliamo della grande evasione che certo non si mette paura di queste limitazioni – ci sarà sempre fino a quando non si renderà conveniente non pagare in nero l’acquisto di beni e servizi; il mezzo migliore per tale scopo sarebbe la detrazione dal reddito imponibile delle imposte pagate dal consumatore finale, che è l’unico soggetto a non poter scaricare l’IVA, e non si ridurranno i costi gravanti sui mezzi di pagamento alternativi al contante.

Un altro argomento per attaccare Meloni è stato poi donato dal fatto che, nel primo consiglio dei ministri tenuto dal nuovo governo, non sia stata affrontata la questione delle bollette (una grave accusa: un ritardo di 4 giorni) ma, per meri fini propagandistici, si è invece dedicato alla stretta sui diritti; una illustre politologa, per giunta parlamentare europea del PD, parla di ‘destra al cubo’ per il fatto che il nuovo ministro dell’interno si è esibito, come suo primo atto di governo, con un d.l. che vieta i «raduni con invasione di edifici e terreni pubblici o privati»; il decreto fa seguito allo sgombero del ‘rave party’ di Modena dove i giovani si esibivano nella compravendita di droga, alcolici, etc.: come si fa a darle torto dal momento che i ‘progressisti’ intendono assicurare ai giovani un grande progresso curandoli con il ‘delirio’ e la cultura sadiana? La corrispondente berlinese di ‘Repubblica’ ha fatto, un appello accorato in favore dei giovani che, non avendo soldi per potere ‘aprire’ locali da ‘sballo’, sono costretti ad adattarsi negli edifici altrui, per altro abbandonati. Piero Sansonetti ha sentenziato che «questa legge sui ‘rave’ non può andare avanti, la riunione non può essere reato per l’art. 17 della Costituzione»: forse il ‘vecchio comunista’, come egli suole autodefinirsi, confonde il diritto di riunione con il delitto d’invasione di edifici e di spaccio di droga. Certo, nella formulazione attuale, il decreto manca di una tipizzazione del reato chiara e definita; una sua interpretazione estensiva potrebbe portare a colpire qualunque genere di manifestazione o occupazione (scuole, università, appartamenti privati e pubblici); in effetti il decreto è scritto malissimo – come di solito accade per le nostre leggi che, tra aggiunte, rinvii ad altre leggi e articoli del codice, bisognano di un egittologo per poter essere interpretate. Ma Conte e Letta si stracciano le vesti contro questo decreto ‘fascistissimo’ e non si accontentano che in Parlamento se ne delimiti la portata: vogliono che venga ritirato.

Il programma del nuovo governo è oggetto di irrisione sul punto delle autonomie: l’opposizione denuncia il paradosso di un partito nazionalista che dovrà cedere ai leghisti sulla questione dell’autonomia differenziata – che è l’autonomia di cui già godono ben 5 regioni in un quadro normativo di precisa distribuzione dei poteri, delle competenze e delle risorse in capo a governo centrale e ai governi regionali – e prevede, anzi auspica, che su questo la maggioranza s’infranga o che, al solito, faccia pasticci come nel 2001, quando la farraginosa riforma del titolo V della Costituzione venne fatta da centralisti camuffati da autonomisti.

Forse l’opposizione teme l’autonomia perché teme di perdere potere?

A governo appena insediato, un’altra notevole obiezione e un attacco da sbarco in Normandia sono stati portati, soprattutto con l’arma televisiva, contro la decisione di eliminare l’obbligo di indossare la mascherina negli ospedali. Siamo d’accordo con l’obiezione, forse è presto per sbarazzarsi di quel fastidioso mascheramento ma dobbiamo dire che gli ‘obiettori’ hanno sbagliato governo: era stato il governo Draghi a decidere la scadenza dell’obbligo della mascherina al 1 ottobre sui mezzi pubblici e al 31 ottobre negli ospedali e nelle RSA; il governo attuale invece ha prorogato l’obbligo fino al 31 dicembre: insomma, i critici sono rimasti con un palmo di naso.

Questi stessi si sono messi le mani ai capelli quando il governo ha riammesso in servizio medici e infermieri non vaccinati con 2 mesi di anticipo sul termine stabilito dalla legge sull’obbligo vaccinale: detto che l’obbligo di sottoporsi alla vaccinazione si è avuto solo in qualche paese e che solo in Italia ha assunto i caratteri di un ‘giudizio di Dio’; detto che essere contro l’obbligo vaccinale non significa essere contro il vaccino, dobbiamo porre tre domande: 1) i sanitari no vax devono essere condannati, senza processo, alla segregazione sine die?; 2) i medici vaccinati possono portare il contagio? Se si, allora tutti i medici, vaccinati o no, vanno esclusi dal servizio; 3) il vaccino serve solo come protezione personale? Se si, allora peggio per chi non si vaccina: se una sanzione doveva essere prevista per medici e infermieri che avessero rifiutato la vaccinazione, sarebbe bastato non concedere la causa di servizio a chi avesse contratto il covid in servizio.

Il governo vorrebbe introdurre il merito come criterio di organizzazione della scuola, che significa incentivazione del personale insegnante a migliorarsi e degli studenti a studiare meglio. Non sappiamo ancora come intende farlo né se ci riuscirà e in quanto tempo ma è bastato il solo annuncio per fare insorgere i ‘progressisti’ come un sol uomo. In effetti questi insorgenti hanno ragione: verrebbero a perdere molte delle armi che hanno usato per fare della scuola una potente leva di assunzioni senza merito e un esamificio senza valutazione.

‘Sette in un colpo’: il governo alla sua prima uscita è riuscito ad armare di molti argomenti pretestuosi le ‘falangi’ – absit iniura verbis – dei suoi nemici, i quali così potranno passà ‘a nuttata. Ma il punto è che si può non essere d’accordo sul programma e sugli atti del governo e si può anche temere che i buoni propositi restino solo annunci senza seguito: nessuno si aspetta miracoli. Dovremmo però attendere laicamente il governo all’opera prima di sotterrarlo sotto i pregiudizi che hanno asfissiato la seconda repubblica. Invece, nel dibattito in corso la ‘sinistra’ spesso e volentieri ha messo sul suo piatto della bilancia dei pesi truccati, svuotati di ogni seria prospettiva politica: l’unica cosa di ponderato, pensato e coerente con il ‘progressismo’ è stata la difesa della libertà di aborto e del matrimonio tra omosessuali (con il corollario del poetico ossimoro che si pretende sulle carte d’identità: genitori dello stesso sesso): non so se è poco o molto. De gustibus.

All’Università la ‘Sapienza’ di Roma si sono svolte le prime prove tecniche di innalzamento del livello dello scontro: mentre si votava la fiducia al governo Meloni, i nostalgici del ’68 sono scesi in campo; la signora Ginevra Bompiani – tra gli applausi del commosso Floris e del suo parterre blasonato – ha detto in televisione che «la polizia, ‘fiutata’ l’aria portata dal nuovo governo, si è subito adeguata al nuovo clima e ha ‘manganellato’ gli studenti della ‘Sapienza’ i quali, poveretti, volevano solo impedire che, in casa loro, si svolgesse un dibattito» in cui erano presenti due loschi figuri, un deputato di FdI e un giornalista senza la tessera giusta: nessuno degli ‘ospiti’ di Floris ha detto una sola parola in difesa della libertà di parola, che i ‘manifestanti’ intendevano negare ‘pacificamente’ ai ‘loschi figuri’, ma tutti erano pronti a difendere le occupazioni di scuole e università che certamente saranno prossimamente sullo schermo. Chi era nelle Università nel ’68 e dintorni (e, allora, al governo non c’era Meloni; c’erano i Moro, i Nenni, i Saragat, etc.), sa quanto il clima ‘democratico’ nelle Università di quegli anni sia stato fecondo: infatti, Renato Curcio ebbe i suoi natali nella ‘democratica’ Facoltà di sociologia di Trento.

Il suddetto Montanari, che è pure un rettore di università, è stato più chiaro: «Mentre i manganelli della polizia si incaricavano di inculcare il concetto di merito nelle teste degli studenti della Sapienza, alla Camera si celebrava la sconfessione, l’abiura, il rovesciamento della Costituzione antifascista». Ergo, la ‘nuova resistenza’ è alle porte: Meloni è avvertita!

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