Elly Schlein si prende il Pd: quale futuro per Falcomatà e Irto? Il partito verso una drammatica rivoluzione

L'ombra del grande esodo dal Partito Democratico dopo la vittoria di Elly Schlein: in Calabria tutti i vertici hanno sostenuto Bonaccini, adesso cosa succederà? Scenari e prospettive

StrettoWeb

Il terremoto Elly Schlein si è abbattuto nelle scorse ore sul Partito Democratico e tutti gli addetti ai lavori, studiosi ed esperti della scienza politica, non hanno dubbi: alla scossa principale seguiranno numerose repliche che dureranno a lungo, certamente molti mesi, proprio come accade nel caso di rottura delle faglie sismiche. Uno scenario che coinvolgerà non solo il Pd, ma tutta la politica italiana con ripercussioni a catena in molti altri partiti e da cui, ovviamente, la Calabria non rimarrà esclusa. Anzi. La resa dei conti potrebbe iniziare proprio nella Calabria che è stata la Regione in cui tutti i vertici del partito, dal segretario regionale Nicola Irto al sindaco – seppur sospeso – di Reggio, Giuseppe Falcomatà, avevano sposato la causa di Bonaccini in linea con l’establishment del partito. E invece hanno perso. Cosa succederà adesso?

La capacità della classe dirigente del Pd calabrese di riciclarsi è straordinaria, basti pensare a quanto rapidamente gli stessi esponenti che oggi guidano il partito salirono sul carro di Renzi nel 2013 dopo essersi schierati dalla parte di Bersani nel 2012. Falcomatà ci sta già provando in queste ore, in modo forse anche eccessivamente sfacciato da risultare maldestro, complimentandosi con Schlein, ringraziando Bonaccini e concludendo: “Adesso lavoriamo insieme per il rilancio del Partito. Noi ci siamo”. E’ assai arduo, però, giurare che anche adesso accada la stessa cosa già vista dieci anni fa. E’ la prima volta che i vertici del Pd calabrese e reggino si trovano nella corrente di minoranza del partito, ed è verosimile che i rampanti sostenitori di Schlein ambiscano a destituirli. A questo scenario si aggiunge l’imminente sospensione per legge Severino di Muraca, unico consigliere Regionale del Pd per la provincia di Reggio Calabria, che verrà sostituito da Billari, tra i pochi sostenitori di Schlein con l’ex consigliere regionale Gianni Nucera, il segretario provinciale del partito Morabito e – attenzione – Nico Stumpo di Articolo 1, che ha sostenuto Schlein apertamente nonostante fosse di un altro partito. Un dettaglio molto importante di cui parleremo più avanti.

I complimenti di Irto a Schlein sono stati un po’ freddini, e il clima è quello della vigilia di una resa dei conti che si prospetta particolarmente lunga e dilaniante. Non ci sono appuntamenti elettorali imminenti, il primo banco di prova saranno le elezioni europee del 2024 e quindi è probabile che passeranno mesi affinchè la situazione si definisca, probabilmente tra l’estate e l’autunno. In Calabria, con ogni probabilità, succederà semplicemente il riflesso dei cambiamenti che avremo a livello nazionale. Uno scenario particolarmente complesso su cui è impossibile fare previsioni attendibili. Di certo c’è che il terremoto Schlein è dirompente e avrà effetti importanti: ricorda molto da vicino quanto successo con l’entrata in scena di Renzi, seppur da posizioni politiche opposte e con sfumature ben differenti. Renzi arrivava dal centro con l’intenzione dichiarata di rottamare la vecchia classe dirigente del Pd e rendere il partito più moderno, liberale e riformista. Schlein, invece, arriva da sinistra con l’intenzione di barricare il partito su posizioni più estreme, riportandolo indietro nel tempo, e con un intento rottamatore meno dichiarato e più spinto dal basso che dalla stessa Schlein. Militanti ed elettori, infatti, sono andati a votare per azzerare l’attuale Pd mentre la nomenclatura del partito era con Bonaccini, che aveva avuto 20 punti di vantaggio nel voto dei circoli, anche se tanti capi storici di corrente come Orlando, Franceschini, Zingaretti e Provenzano sostenevano apertamente Elly Schlein. Un sostegno certamente non determinante per la vittoria, su cui si valuta in queste ore la possibilità dell’inquinamento del voto da parte di Articolo 1 e Movimento 5 Stelle. In modo particolare Articolo 1, come dimostra il caso di Stumpo in Calabria, è palese che abbia inquinato le primarie di un altro partito per sostenere un candidato che fino alla vigilia del voto non era neanche tesserato del Pd.

Adesso il tema dei temi è se Articolo 1 entrerà nel Pd fondendosi con il partito democratico: se andrà così, inizierà una rivoluzione. I primi a saltare, silurati dal nuovo segretario, potrebbero essere i capigruppo di Camera e Senato, Serracchiani e Malpezzi, espressi dalla parte più moderata e riformista del partito guidato da Letta e a sostegno di Bonaccini. A rischio anche il ruolo di Benifei, capodelegazione del Pd all’Europarlamento e sostenitore di Bonaccini. E da quel momento potrà succedere di tutto. Guerini è stato già particolarmente duro, dicendo a caldo dopo il voto che questo risultato ammazza il Pd. Il mondo cattolico sta già abbandonando il partito con l’emblematico addio di Fioroni: segnali che non lasciano speranze positive per il futuro del Pd. La componente riformista, che oggi è di gran lunga maggioritaria dentro il Pd in parlamento, diventerà minoranza nel partito e non mancheranno le sirene di Renzi che farà di tutto per svuotare il suo ex partito dei tanti scontenti (Giorgio Gori e Dario Nardella su tutti) per avvicinarli al Terzo Polo che oggi non è poi così lontano nei sondaggi. Ma l’esodo non è scontato. Bonaccini è paralizzato, in quanto la sua Giunta Regionale in Emilia Romagna è legata alla fiducia del Pd. Lo stesso Guerini ha un importante incarico al Copasir frutto delle scelte interne alle correnti del Pd. Eventuali scissioni si faranno soltanto al prezzo di dolorose rinunce a posizioni di potere acquisito, un elemento che rende ogni cambiamento molto più difficile. A meno che non si arrivi alla vigilia delle Europee in cui l’alternativa (il Terzo Polo di Renzi e Calenda) non possa offrire maggiori garanzie in tal senso rispetto allo stesso Pd. Uno scenario che oggi non si può affatto escludere.

Molto dipenderà da quello che farà Schlein. Dipinta come la rivoluzionaria di sinistra dai soliti propagandisti partigiani, in realtà è una ultra ricca figlia di papà che arriva da una famiglia di multi miliardari e che ha vinto le primarie del Pd con i voti delle grandi città e del nord produttivo mentre le ha perse nelle periferie e al Sud, dove ha prevalso Bonaccini. E’ ai limiti dell’esilarante aver letto nelle scorse ore che Repubblica e altri definiscono Schleinunderdog della sinistra”, scimmiottando Giorgia Meloni che nella vita di difficoltà ne ha avute davvero tante, è nata e cresciuta alla Garbatella senza padre e in una famiglia modesta, a differenza di Elly Schlein che è nata e cresciuta in Svizzera da due accademici universitari, padre multimiliardario. Non proprio il ritratto di una “sfavorita”, che è la traduzione di “underdog”. E’ molto più radical-chic lei di Bonaccini, che invece è figlio di nessuno e si è fatto da solo dimostrando sul campo le proprie capacità politiche. In campagna elettorale, gli unici temi di Schlein sono stati i diritti dei diversamente sessuali e il paradigma globalista di auto elettriche, farina di grilli e pannelli solari: tutti argomenti così lontani dalla realtà del Paese da aver rappresentato proprio la causa dell’allontanamento dei cittadini dalla sinistra. Adesso Schlein dovrà scegliere che strada prendere, su tutti i fronti. Cosa farà sulle armi all’Ucraina, lei che per giunta è discendente di una famiglia ucraina? Basterà una titubanza che l’esodo del Pd moderato sarà immediato. Dovrà stare molto attenta, adesso, Schlein: ha vinto ma di un soffio, metà partito è con Bonaccini ed è la parte più strutturata del partito, non quella fluida, in parte proveniente da simpatie di altri partiti di sinistra (Articolo 1 e M5S) che invece ha votato per lei. E dovrà essere lei adesso a scegliere cosa fare del Pd, se tenersi i riformisti e moderare le proprie posizioni o, al contrario, se entrare a gamba tesa nel partito determinandone una drammatica rottura.

Di certo si pone il tema degli elettori moderati: per l’Italia è sempre più aperta la partita di ricostruzione di un polo riformista. Per chi votano gli elettori di centro? Alle ultime elezioni politiche si sono divisi tra il Pd, il Terzo Polo e Forza Italia, ma con Schlein in ogni caso non voteranno più per il Pd e non è affatto scontato che questo travaso di voti vada negli altri partiti centristi. Anche perchè al governo c’è Fratelli d’Italia che sta facendo scelte particolarmente responsabili sorprendendo i mercati e gli apparati dello Stato, vedi i tanti complimenti raccolti da tutta l’area moderata (da Calenda a Monti) per le scelte drastiche su Superbonus e Reddito di Cittadinanza, oltre al forte e netto sostegno all’Ucraina nel quadro delle alleanze atlantiche e occidentali. Tutte scelte, in realtà, già annunciate in campagna elettorale, ma su cui pesava il pregiudizio storico nei confronti della destra che invece adesso sta venendo meno con l’evidenza dei fatti. Non è un caso che tra i ministri di Fratelli d’Italia ci siano figure di centro che arrivano dalla democrazia cristiana come Crosetto e Fitto, e nel partito ci sia Antoniozzi a guidare il collocamento dei moderati. Alla fine di tutta questa storia a beneficiarne sarà ancora Giorgia Meloni che con Bonaccini alla guida del Pd avrebbe avuto un problema per un’opposizione più seria e competente. Secondo indiscrezioni provenienti dalla Capitale, invece, la più grande festa la scorsa notte l’hanno fatta a Palazzo Chigi.

Dall’altro lato, non è tecnicamente scorretto dire che – alla luce della provenienza della vincitrice e delle posizioni dell’establishment – che il Pd è riuscito a perdere anche le primarie del Pd.

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