Il “politichese”, la lingua sconosciuta che incanta gli elettori italiani

"Purchè se ne parli", diceva un proverbio. Un'analisi degli strafalcioni e delle gaffe degli esponenti politici italiani che ci hanno fatto ridere, e riflettere

StrettoWeb

La politica, si sa, è una faccenda seria e, come tale, andrebbe trattata. Il condizionale, in questo caso, è d’obbligo perché “fare politica” non sempre è il corrispettivo di prendere le cose seriamente. Si dice infatti, che i politici siano lo specchio degli elettori che li eleggono, li scelgono, li votano, li vogliono per cambiare qualcosa. E nell’era della democrazia – o presunta tale – siamo noi, il “popolino”, a decidere con matita e scheda chi deve rappresentarci. Ma chi ci rappresenta, e teniamolo bene a mente, sono esseri umani: sono individui di carne ed ossa, dotati di pensiero, emozioni, azioni e, ça va sans dire, di parola.

Da cittadina italiana maggiorenne, con diritto di voto e che scrive per un giornale, so che le parole sono importanti, ma possono essere anche sbagliate. Non solo nel contenuto, ma anche nella forma: scrivere articoli non mi esime da sbagliare. Essere politici non esime loro dal commettere errori. Riconosco quindi che errare è umano, ma – e lo dice un famoso proverbio – perseverare è diabolico. Nelle scorse settimane, la polemica sul consigliere reggino Latella e il suo modo di esprimersi “articolato e bizzarro” ha fatto il giro dei media. Il video in consiglio durante il dibattito sull’autonomia differenziata è arrivato fino a “Striscia la notizia”, dove gli strafalcioni del politico hanno creato ilarità.

Il discorso, dobbiamo ammetterlo, faceva ridere. La pronuncia sbagliata, l’inglese di renziana memoria, hanno creato un momento divertente. Ed è qui che si doveva fermare, alla risata. Ma la speculazione creata dagli utenti e gli elettori che hanno gridato all’indignazione per il video pubblicato, mi pare eccessiva. Una scenetta comica, data dalla stanchezza come dice Giovanni Latella, o forse dall’ignoranza. Perché ignorare, badate bene, non significa essere stupidi, ma solo non conoscere. Certo, forse non ce lo saremmo aspettati da un consigliere comunale che, in più occasioni, ha “perseverato diabolicamente”, ma si può anche non sapere.

E credetemi, a non sapere, sono in tanti: da destra a sinistra, da verdi a rossi, da anarchici a latifondisti, tutti hanno delle falle. Ecco allora una carrellata di strafalcioni memorabili tipici del “politichese”, quella lingua sconosciuta, fatta di dialetti e voci verbali inventate, ma che tanto ammalia gli elettori. Davide Trepiede, pentastellato, annuncia alla Camera di voler essere“breve e circonciso, con ripresa diretta di Simone Baldelli (FI), che prova a correggerlo sbagliando pure lui: “coinciso, si dice”. O Luigi Di Maio, buonanima pentastellata, che ha risposto sulla questione euro: “Io da sempre ho sempre detto che, il Movimento ha sempre detto che noi volessimo fare un referendum sull’euro“. Da inorridire.

Come dimenticare il senatore Maria Stella Gelmini che ha parlato di tunnel che collega il CERN al Gran Sasso (dimenticando completamente cosa fossero i protoni), o Matteo Salvini che asseriva: “il migrante è gerundio, quando migri sei un migrante”. E poi ancora Matteo Renzi, che ci ha regalato e continua a regalarci perle pazzesche, da sfornare “meme” da qui fino a 30 anni, quando non saranno neanche più di moda. Inutile riportarlo, il discorso in inglese-politichese ha toccato vette altissime della sua carriera politica. Sicuramente verrà ricordato più per il suo “shish” che per il suo lavoro per l’elettorato. E ricordiamo Alessandro Di Battista e i congiuntivi a suon di “mi facci finire”, oppure Beatrice Lorenzin che ha chiesto ai creativi “di darci una mano, possibilmente a titolo gratuito”.

Un mix letale di errori grammaticali e dimenticanze – o lacune? – culturali. Eppure, questo politichese funziona eccome: incanta – come il Cobra di Donatella Rettore – e tutti ci cascano, trovandoseli poi ai Consigli, comunali o dei ministri che siano. In fin dei conti però, tutti sbagliamo e non c’è nulla di male ad ammetterlo. Certo, se si riveste una carica politica sarebbe meglio evitare brutte figure anche perché, come ho ricordato all’inizio, loro ci rappresentano.

Però basta. Basta giustificare. Basta alle dietrologie per spiegare il perché di quell’errore, di quella dimenticanza, di quel mispronouncing. Basta dire che uno è stanco, che non l’ha fatto apposta e che aveva altro per la testa. Non ve la prendete per un video andato in TV e non difendete l’onore dei rappresentanti del popolo ergendovi ad avvocati “delle cause perse”, come se avessero una lettera scarlatta cucita addosso (anche il povero Hawthorne ho dovuto scomodare!). Fatevi una risata piuttosto, anzi due che è meglio. E, se proprio vogliamo dirla tutta, è vero che “un libro non si giudica dalla copertina” ma se, ogni tanto, a qualcuno venisse la felice idea di aprirlo, non sarebbe affatto male.

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