Il fastidio di pensare – Lo Stato ad uso e consumo

Montanelli fu il primo a dire cosa si nascose spesso dietro la lotta partigiana: una guerra civile in territori in cui lo Stato aveva abdicato

StrettoWeb

Nella storia essere eroi o criminali dipende spesso solo dall’esito di una battaglia. Che a fondamento di ogni Stato ci sia una storia che sconfina in una mitologia che è meglio non guardare troppo da vicino, è abbastanza ovvio: lo era nel fascismo con l’esaltazione acritica della romanità, nel mondo sovietico con le salme sulla Piazza Rossa, e in questa repubblica con la lotta partigiana. In Italia però, paese pregno di retorica, tutto questo è particolarmente accentuato ed emerge soprattutto nelle ricorrenze, dove ormai c’è da aspettare pazientemente che ogni volta finisca tutto al più presto. Non che quella lotta non ci sia stata, naturalmente; ma avendola talmente intrisa di mito eroicizzante, è stato sempre difficile darne una reale valutazione storica. E cioè chiedersi come sia stato possibile che un intero popolo, che per vent’anni ha abbassato la testa al regime d’un tratto si è scoperto così eroico e coraggioso. Come è stato possibile che prima su oltre un migliaio di professori richiamati a fare un giuramento vergognoso solo una decina s’opposero e poi d’un tratto nella repubblica di Salò su oltre un migliaio di richiamati alla leva se ne presentavano appena una decina: ecco che la nuova generazione si mostrava d’un tratto più coraggiosa della precedente.

O forse la spiegazione è più semplice, e va letta nelle parole di Churchill quando sarcastico disse che gli italiani, che il gusto dell’eroismo non l’hanno mai avuto, nel ‘43 erano novanta milioni: metà prima dell’otto settembre e metà dopo. Insomma, c’era chi il fascismo lo affrontava quando c’era davvero, e chi quando si era suicidato, in attesa che lo sconfiggessero gli altri. Quando passeggiavo con Enzo Misefari, uno di quelli che il fascismo ebbe il coraggio di affrontarlo quando questo era un fascismo vero, e ne guadagnò anni di confino, mi ripeteva che se ad opporsi non fossero stati quattro gatti forse la dittatura non sarebbe durata vent’anni. Montanelli fu il primo a dire cosa si nascose spesso dietro la lotta partigiana: una guerra civile in territori in cui lo Stato aveva abdicato, e non fu sempre una guerra per la libertà ma una lotta ideologica, come tutte le guerre civili. Carl Schmitt dice chiaramente che è sovrano chi decide lo Stato di incertezza, che tradotto in termini banali vuol dire che quando si crea uno Stato dove prima non c’era si ha anche il diritto politico di costruirlo a proprio uso e consumo, e così è stato fatto.

La costituzione italiana non è una costituzione liberale, ma una costituzione politica, strutturalmente antifascista, scritta dal vincitore contro il vinto (è ovvio che la costituzione sia costruita sull’idea dell’antifascismo e solo un politico come la Russa non se ne era accorto; ma già uno dei più autorevoli giuristi italiani come Costantino Mortati si chiedeva se costruire una costituzione contro qualcosa non rappresentasse un limite che poi avremmo pagato); la storia che ci è stata raccontata è una storia che esalta il vincitore contro il vinto (e quando De Felice provò a dire che forse non era andata proprio così proposero finanche di ritirargli la cattedra); le feste sono tutte feste che esaltano queste ricorrenze contro un vinto che viene continuamente esecrato. È la legge della storia: chi vince ha sempre ragione. E Schmitt dice che è giusto così: chi si impadronisce dello Stato ha non solo il diritto, ma l’obbligo politico di crearne uno a sua immagine e somiglianza, e sarebbe non solo stupido, ma assurdo non farlo. Sarebbe assurdo che i creatori del nuovo Stato andassero a dire che hanno combattuto ma, beh, anche quelli che c’erano prima, in fondo, non erano poi così male: qui le dicotomie devono essere nette e alla base di ogni nuovo Stato ci sono sempre degli eroi e dei criminali su cui non è concesso fare analisi.

Qui il mito sopravanza la storia. Poi però, appunto, siccome lo Stato italiano è, ab origine, squilibrato, in quanto ha preteso di escludere dalla vita politica una parte ideologica della popolazione, e lo ha fatto non solo legislativamente, ma costituzionalmente, si trova in difficoltà, e qui nascono i problemi che pensa di smaltire con la sua retorica. Intendiamoci: noi crediamo che il fascismo storico non abbia nulla a che vedere con questa destra, a parte qualche nostalgico che vive fuori dal proprio tempo, e che se lo Stato italiano avesse permesso una partecipazione realmente democratica a una certa destra invece di certi giochi di potere in cui prima la accettava per toglier voti alla Democrazia Cristiana e poi però la proclamava “incostituzionale” e la ghettizzava, allora forse una certa area politica si sarebbe da tempo disintossicata del tutto da certe nostalgie. Ma non si può comunque pretendere adesso che una certa area è al potere di vivere politicamente nelle sue ideologie ma nello stesso tempo di dovere accettare la retorica della parte avversa, che è come dire che se vuoi governare questo Stato, ricordati che devi farlo esaltando gli schemi ideologici con cui io lo ho imprigionato, che sono esattamente il tuo opposto. Obbligandolo ad accettare, appunto, degli schemi come se fossero delle verità. C’è sempre stata, da parte di chi ha vinto una guerra civile, la tentazione di mettere fuori gli sconfitti, dicendo che solo la loro è la verità storica e ideologica, e solo loro hanno il diritto di guidare la nazione, perché gli altri sono portatori di idee sbagliate. Nel mondo socialista questa strategia si chiamava ruolo del partito guida: ci sono, per correttezza, anche gli altri, ma l’ultima parola è sempre di chi possiede la verità. Nella nostra costituzione i “fascisti” o chi puzza per tale sono esclusi direttamente. Schmitt cosa fare lo dice; ma lui, appunto, non credeva nella democrazia.

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