Da Oriana Fallaci a Michela Murgia, quando un tumore letale svela chi sei

Due donne di pensiero, Oriana Fallaci e Michela Murgia, accomunate da una patologia potenzialmente letale, un tumore. E due differenti modi di catalizzare il proprio odio

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Un tumore al quarto stadio è ciò che a Michela Murgia, e a chiunque altro, non dovrebbe mai accadere. Il cancro, che troppo spesso, ancora, viene scoperto quando è ormai troppo tardi, resta una malattia infida e letale. Malgrado i progressi scientifici, malgrado la ricerca sempre più serrata, malgrado la prevenzione.

Nel caso di Michela Murgia, poi, tra le cause dell’inasprirsi delle sue condizioni non c’è il ritardo nell’individuare la malattia, ma la pandemia. E la fobia – che ora sappiamo essere ingiustificata – nei confronti di un virus che è riuscito a diventare prioritario. In barba a patologie ben più gravi, come i tumori. Murgia, infatti, ha dichiarato di aver trascurato le cure della patologia, in una fase iniziale, proprio a causa del Covid.

Accade dunque che, di fronte alla malattia, ci si renda conto di quanto siano piccoli alcuni problemi umani. Alcune questioni che ci portiamo dietro per tutta la vita e che all’improvviso si ridimensionano di fronte ad una patologia che, con alta probabilità, entro breve tempo ci porterà alla morte. Questo, a quanto pare, non è accaduto a Michela Murgia. O almeno non le è accaduto per quanto riguarda la sfera che potremmo definire pubblica, quella che da sempre la vede contrapposta con violenza verbale ad una destra che, ai suoi occhi, è intrisa di fascismo come se fossimo nel 1930.

E lo ha dimostrato lei stessa, annunciando pubblicamente la sua malattia. Un annuncio sicuramente doloroso, sicuramente sofferto e travagliato, ma nel quale non è riuscita ad esimersi, nemmeno questa volta, dal fare contrapposizione politica a chi non ha idee affini alle sue. Eppure sarebbe bastato poco. Sarebbe bastato non fare ironia su un fatto serio qual è quello dell’annuncio di un tumore al quarto stadio. O forse la Murgia nemmeno voleva farla, l’ironia: per lei è un fatto più serio che Meloni non sia più premier. Più serio addirittura della sua guarigione. E questo fa riflettere sulla deriva degli estremismi, che siano essi di destra o di sinistra.

Nessuno può dire agli altri cosa fare in questi casi, ma viene naturale pensare che se sto per morire, non penso di certo ai miei nemici. Penso invece agli amici, a ciò che di bello mi lascio dietro. A ciò dal quale non sono pronta a separarmi. Il pensare agli avversari anche in momenti simili denota un odio covato dentro per anni. Un’intolleranza e un rancore che vanno ben oltre la semplice ideologia politica. E non è solo un atteggiamento di Michela Murgia. Purtroppo gli estremismi politici sono questi: odio allo stato puro.

Un po’ come quando, dopo la vittoria di Giorgia Meloni, qualcuno l’ha ritratta a testa già, come a mimare l’impiccagione, in ricordo della cruenta morte di Benito Mussolini. E proprio all’impiccagione, oggi, molti pseudo paladini della libertà inneggiano come se fosse panacea per i loro mali. Ma la cattiveria e l’odio, purtroppo, non si curano con la morte del soggetto odiato. Anzi. Si moltiplicano.

Nel caso di Michela Murgia, purtroppo, duole constatare che non è bastato nemmeno l’immane dramma umano che sta vivendo per farla desistere dal dare del fascista ad un governo che, a ragion veduta, di fascista non ha nulla se non le accuse mosse da chi lo avversa.
E speriamo possa guarire da quel maledetto tumore, affinché veda che, tra cinque, dieci, quindici anni, non vivremo in un paese costellato da campi di concentramento o da negozi con su scritto “Qui i musulmani non possono entrare”. Siamo in Italia ed è il 2023. Il 1933 è lontano. Molto lontano.

Oriana Fallaci e il tumore come unico nemico

Senza voler accostare il sacro al profano, anche Oriana Fallaci venne colpita da un tumore contro il quale lottò per anni. Scelse, per mesi, di non rivelarlo a nessuno “per un senso di fatalità e per poter varare le traduzioni in francese e inglese di Inshallah”, come scrissero i giornali. La Fallaci catalizzò la sua rabbia da giornalista conscia di come il mondo stesse andando alla deriva sull’unico vero nemico contro il quale doveva combattere, il suo tumore.

Dopo l’intervento – scrisse lei stessa –, ho detto ai chirurgi: voglio vedere quello che mi avete tolto. E’ roba mia e la voglio vedere. Così mi hanno portato la cosa, questo grosso pezzo di Oriana, insomma ‘lui’ . Una cosa bianca, piccola e lunga. E ho cominciato a parlargli: tu, sporco bastardo! Oh, come lo odiavo! Lo insultavo. Gli dicevo: non permetterti di ritornare, hai lasciato dei bambini dentro di me? Ti ammazzerò, ti ammazzerò, non vincerai“. Non era una donna in preda alla follia, ma una persona come tante che sapeva di avere anni, forse mesi, contati. E decise che il suo unico nemico sarebbe stato il tumore. Non un avversario politico, o chi la pensava diversamente da lei, ma solo il cancro maledetto che l’aveva colpita. Quel cancro che l’ha poi uccisa, portandoci via per sempre una delle voci italiane più illuminate e lungimiranti dell’ultimo secolo.

Scrisse molto, la Fallaci, mentre combatteva contro il tumore. Ma mai con odio, mai con astio. Solo con grande cognizione di quanto affermasse.

Suo padre era un partigiano e lei lo aiutò negli anni della Resistenza. Era ‘rossa’ più del rosso. Poi diventò giornalista. Fu corrispondente in numerosi teatri di guerra, tra cui il Vietnam, dove giunse sostenendo moralmente i Vietcong; ma proprio lì iniziò a capire che il mondo, e la guerra in particolare, non si dividono in buoni e cattivi. E che la sottile linea tra ideologia e idiozia è davvero labile. Iniziò a capire come gira davvero il mondo. Fu la ‘voce narrante’ dei ribelli di mezzo mondo e si innamorò di uno di essi.

Poi, all’improvviso, si trovò ad avere a che fare con il fondamentalismo islamico, e allora iniziò a capire. Non che l’Islam fosse da demonizzare, ma molto più semplicemente che mentre i nostri valori occidentali andavano indebolendosi, quelli islamici, o meglio fondamentalisti, crescevano sempre di più e raccoglievano sempre più consensi. Capì che la determinazione dell’Islam radicale avrebbe cercato di annichilirci. Non prevedeva il futuro e non era razzista. Ma ancora prima dell’11 settembre, quando già era affetta dal ‘suo’ tumore, capì come sarebbe andata a finire. E lo capì perché aveva una visione disincantata del mondo e ormai scevra da ogni ideologia.

Fallaci e Murgia come “Penelope alla guerra”

La guerra, sa…è dacché Caino ammazzò Abele che la guerra fa parte della natura umana…Ma non per questo io l’accetto. E non sono qui per difender la guerra, sono qui per aiutare chi è costretto a farla“. Non tutti saranno d’accordo con questo passo di Oriana Fallaci, ma in poche righe è riuscita a sbrogliare una matassa così difficile da sbrogliare che molti ci passano una vita e alla fine nemmeno ci riescono. Ha definito la guerra, molto umanamente e concretamente. E ha difeso i soldati che, volenti o nolenti, la guerra devono farla. Perché così funziona il mondo. Così funziona la natura umana. Senza facile retorica.

Michela Murgia, invece, è colei che, riferendosi al generale Figliuolo durante la pandemia, ha dichiarato di avere paura di vedere un commissario in divisa. Dunque, invece di farle paura i ladri, gli assassini, gli spacciatori, a lei fa paura chi, ogni giorno, indossa una divisa, che sia essa dell’Esercito, della Polizia, dei Carabinieri o altro. “Sono incazzatissima“, aveva detto. “Gli unici uomini che ho visto in divisa davanti alle telecamere che non fossero poliziotti che stavano dichiarando un arresto importante sono i dittatori negli altri Paesi“.

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