Magistrati che insabbiano, giornalisti asserviti: il generale Mori svela cosa c’è dietro il teorema della trattativa Stato-Mafia

Il dossier mafia-appalti venne insabbiato "mentre stavano ancora chiudendo la bara di Paolo Borsellino e dei suoi angeli custodi", e poi arrivarono le accuse della presunta trattativa Stato-Mafia

StrettoWeb

Alla luce della recente sentenza della Cassazione, dopo anni di fango mediatico, è d’obbligo chiedersi: ma la trattativa Stato-Mafia è mai esistita? Ieri sera, a Quarta Repubblica, il generale Mori ha provato a fare chiarezza. Ha provato a smuovere quelle coscienze che per anni hanno puntato il dito contro tutti. Il generale Mario Mori è una delle vittime di questa inchiesta, che affonda le sue radici nei primi anni ’90, e che oggi si rivela essere tutto una farsa. Una messinscena. Ma, ci si chiede, cui prodest?

Ora mi devo riqualificare, devo pensare agli anni che mi restano. Ho passato quarant’anni della mia vita in servizio e vent’anni da imputato. L’ho affrontata bene perché vedevo la luce in fondo al tunnel. Sapevo che ero innocente e che l’avrei dimostrato“, ha dichiarato Mori, ormai definitivamente assolto da tutte le accuse che lo vedevano implicato nella trattativa stato-mafia. A Palermo, ha sostenuto Mori rispondendo alle domande del conduttore Nicola Porro, “c’era un pezzo della magistratura che mi ostacolava in modo pesante“.

Nell’ambito del quadro investigativo noi dei Ros – ha spiegato Mori – volevamo agire come credevamo e questo a Palermo non era gradito“. Ora, ha detto fra l’altro il generale, “vorrei che la politica creasse una commissione d’inchiesta sul problema mafia e appalti per andare a fondo, perché se questa è stata la causa della morte di Paolo Borsellino, questo è doveroso“.

Quella delineata oggi dal generale, finalmente libero da ogni condizionamento, è una tela così intricata da diventare una matassa indistricabile. O quasi. Perché se due più due fa ancora quattro, tirare le somme diventa drammaticamente facile. Sebbene sia troppo tardi.

Mori: “non mi fidavo del procuratore Giammanco, mi ostacolava pesantemente”

Io non mi fidavo dell’allora Procuratore di Palermo Pietro Giammanco. Mi ostacolava pesantemente“, ha riferito Mori parlando dei contatti avviati dopo la strage di Capaci con l’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino per tentare di fermare la strategia stragista. Alla domanda del giornalista Nicola Porro sulla frase pronunciata a Firenze in cui citò la parola “trattativa“, Mori dice: “Conosco l’italiano, trattativa sta per contatto, intesa, si possono usare mille termini e io dissi trattativa tra me e Ciancimino, lui aveva un processo in atto e stava per essere arrestato. Quando il magistrato convince il boss a collaborare è una trattativa? Nell’agosto del ’92 io non mi fidavo dell’allora Procuratore Giammanco”.

E ricorda alcune date: “Nel marzo del ’92 Borsellino tornò a Palermo da Marsala e venne nominato aggiunto, il 23 maggio ci fu la strage di Capaci. Il 25 giugno Borsellino volle parlare con me fuori dal Tribunale e mi chiese di riprendere l’inchiesta su ‘mafia e appalti. Il 3 luglio il pm Scarpinato (oggi senatore M5S) e il pm Guido Lo Forte chiedono l’archiviazione di mafia e appalti, il 14 luglio Borsellino chiede come procede l’inchiesta mafia e appalti e nessuno gli dice che la stavano archiviando. Il 16 luglio incontra Vizzini e parlano diffusamente di mafia e appalti“.

Il 19 luglio – infine – Giammanco telefona a Borsellino e gli dice che gli hanno conferito la delega per operare anche su Palermo. Pochi giorni dopo archiviarono l’inchiesta su mafia e appalti”. “Come facevo a fidarmi di Giammanco? Ho aspettato che arrivasse il procuratore Caselli. Mi ostacolava in maniera pesante e io non ero disposto a condividere nulla con lui“.

Lo strapotere dei magistrati e i giornalisti che vivono di veline

Un gruppo di persone ha seguito questi magistrati del processo sulla trattativa. Molti giornalisti ci hanno costruito delle carriere, non solo magistrati. Dei giornalisti hanno vissuto e vivono con le veline delle procure“. Lo ha detto ancora Mori commentando le parole di Fiammetta Borsellino che, intervistata dopo la sentenza del processo trattativa Stato-Mafia dall’Adnkronos, disse: “C’è chi ha costruite delle carriere, sul nulla. Su processi che poi si sono dimostrati dei fallimenti. Ne faccio una questione deontologica“. “E’ un messaggio brutto da dare alla società – aveva aggiunto Fiammetta Borsellino – che alla fine si costruiscono carriere su processi che vengono pubblicizzati prima della fine del processo“.

Il dossier mafia-appalti

Secondo Mori, dunque, la politica italiana deve creare “una Commissione parlamentare di inchiesta sull’inchiesta ‘mafia e appalti’ per andare a fondo. Perché, se come ha detto la sentenza del processo Borsellino quater, l’inchiesta mafia e appalti è la causa della strage, mi sembra doveroso per i morti e i vivi che si trovi la verità“. Ma cosa è il dossier ‘mafia e appalti’ e come è collegato con la trattativa Stato-Mafia? Tutto nasce da una delega conferita nel 1989 dalla Procura di Palermo ai Ros dei Carabinieri che aveva come obiettivo principale quello di accertare ”la sussistenza, l’entità e le modalità di condizionamenti mafiosi nel settore degli appalti pubblici nel territorio della provincia di Palermo”. Dunque, per la prima volta, si metteva nero su bianco che c’erano dei “condizionamenti” di Cosa nostra negli appalti pubblici. Un triangolo formato da mafia, imprenditori e politica.

Dal contesto della presente informativa” si evidenzia “una trama occulta, sostanziata da intrecci, relazioni ed intese, volta al fine di prevaricare norme e regole e, allo stesso tempo, di giungere all’accaparramento del denaro pubblico con un’avidità mai esausta e comune sia ai malfattori mafiosi che agli imprenditori a loro collegati i quali poi, tramite i primi, finiscono per esercitare anch’essi e con gusto il potere mafioso“. Quella informativa era l’inizio dell’indagine, e metteva nero su bianco che c’era un gruppo di potere fatto da imprenditori, politici e mafiosi che decidevano gli appalti e si spartivano i proventi. Su quella indagine Mori, con l’allora giovane capitano Giuseppe De Donno, tra il 1990 e l’inizio del 1991, lavorò per mesi.

I rapporti tra Cosa nostra e il mondo degli affari

Poi, il 20 febbraio del 1991, l’allora tenente colonnello Mario Mori e il capitano De Donno, ufficiali del Ros dei Carabinieri, consegnano alla Procura di Palermo, nelle mani di Giovanni Falcone, l’informativa che racconta, per la prima volta, tutti i rapporti tra Cosa nostra e il mondo degli affari. Ma per i pubblici ministeri della procura di Palermo non c’erano elementi sufficienti per procedere penalmente contro alcuni personaggi dell’imprenditoria nazionale. Così, nel luglio del 1992 venne chiesta l’archiviazione. Per i Ros quel rapporto sarebbe stato “scientificamente insabbiato per salvare un sistema di corruzione” che altrimenti avrebbe anticipato la stagione giudiziaria milanese di Tangentopoli.

L’inchiesta ‘Mafia e appalti’ e  le domande di Borsellino

Il 14 luglio del 1992 si tenne in Procura a Palermo un briefing tra magistrati. Paolo Borsellino chiese notizie sull’inchiesta ‘Mafia e appalti’. Dalle successive dichiarazioni al Csm da parte dei magistrati presenti a quella riunione, emerse che nessuno disse a Borsellino che era già stata firmata la proposta dell’archiviazione. Borsellino si era fatto portavoce delle lamentele dei Ros. Peccato che i pm titolari di quell’indagine avevano già avanzato richiesta di archiviazione proprio sulle posizioni degli imprenditori.

I titolari di quell’inchiesta, Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato, sentiti come testimoni al processo sul depistaggio Borsellino, hanno detto che il giudice aveva chiesto nulla in merito durante la riunione. Anche il magistrato Nico Gozzo, oggi alla Procura nazionale antimafia, sentito dal Csm, parlò dei rilievi che Borsellino fece su mafia-appalti.

Di certo c’è che recentemente la procura di Caltanissetta ha aperto un fascicolo per fare luce su quel dossier. Quello che venne insabbiato prima che si profilassero le infamanti accuse sulla presunta trattativa Stato-Mafia. Venne archiviato nell’estate del 1992, appena dopo le stragi di Capaci e di via d’Amelio. Ovvero, come ha detto l’avvocato della famiglia del giudice Fabio Trizzino al processo depistaggio “mentre stavano ancora chiudendo la bara di Paolo Borsellino e dei suoi angeli custodi“.

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