Riforma Giustizia, la Calabria sta finalmente alzando la testa: la ‘ndrangheta si combatte con la canna da pesca

In tema di Giustizia, anche in Calabria, il vento sta cambiando. E forse era anche ora, affinché 'ndrangheta e metodi mafiosi possano essere destabilizzati realmente

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La riforma della Giustizia è necessaria per l’Italia, tutta, ma è particolarmente necessaria per la Calabria. Le mega inchieste a cui da anni ci siamo tristemente abituati, evidentemente non sono il metodo più giusto per portare ad una risoluzione, quanto meno sommaria, del problema ‘ndrangheta, questa piaga che attanaglia la nostra regione e che sembra essere diventata negli ultimi anni un qualcosa di nettamente diverso rispetto a prima. Si tratta ormai di una realtà fluida, sfuggente, non delimitata con precisione. Si tratta, insomma, di ciò che Falcone e Borsellino temevano da sempre: la mafia si è così tanto evoluta da essere diventata irriconoscibile, tra colletti bianchi, imprenditori, istituzioni ad ogni livello.

Tutto questo, però, non può giustificare le indagini fatte, come abbiamo detto spesso, con la tecnica della pesca a strascico invece che con la canna da pesca. I mafiosi vanno cercati, individuati e fermati, ma questo non può voler dire fermare tutto ciò che ruota attorno ai mafiosi stessi. Anche ciò che con la mafia non ha nulla a che spartire. Pensiamo ad esempio alle piccole realtà calabresi dove tutti hanno contatti con tutti. Parliamo di intere comunità distrutte dopo operazioni e maxi retate che, a fronte di centinaia di indagati, portano magari alla condanna di una manciata di persone. Con tanti innocenti che, senza motivo, trascorrono anni a subire misure cautelari che non meritavano. E gli esempi in tal senso, nella sola Calabria, sono decine.

Viviamo in una regione dove, sempre più spesso, la giustizia diventa arma contro gli avversari politici. Un preoccupante fenomeno nazionale, come spiega Luca Palamara, ma che qui raggiunge il suo apice e diventa metodo.

Ma il vento sta cambiando. Grazie al governo, o forse grazie al fatto che la giustizia sta diventando un tema sviscerato sotto ogni suo aspetto. Dire che anche un magistrato può sbagliare, e dirlo pubblicamente, non è più un tabù. E non deve esserlo. Quanto meno per rispetto nei confronti di tutti quei giudici che, ogni giorno, compiono il proprio dovere a proprio rischio e pericolo, in maniera corretta e senza nei.

E’ di questi giorni, per esempio, la notizia che i penalisti calabresi hanno deciso di astenersi dalle udienze in segno di protesta contro le procure, puntando il dito anche contro Gratteri e dicendo “basta” alle “centinaia di ordini di cattura“.

Una scelta legittima, quella dei penalisti, alla quale però i magistrati tentano di opporsi alzando i toni. “Lascia attoniti il tenore del comunicato con cui il Coordinamento delle Camere penali calabresi ha proclamato l’astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria per il giorno 20 luglio prossimo, risolvendosi nell’ennesimo calunnioso e volgare attacco al lavoro della magistratura, accusata, con un linguaggio evocativo di fatti storici abominevoli, di ammassare esseri umani su bastimenti“. È la risposta della Giunta sezionale dell’Anm di Catanzaro alla nota delle Camere penali che attaccava nuovamente la gestione del processo Rinascita Scott.

Nel ribadire che il lavoro dei magistrati in Calabria si svolge nell’osservanza della Costituzione e delle leggi – conclude la nota dei magistrati –, si invoca l’intervento del presidente del Consiglio superiore della magistratura a tutela dei magistrati del Distretto di Catanzaro, a fronte di violenti attacchi che hanno quale unico e chiaro scopo di intimidire i magistrati e delegittimarne il lavoro“.

Il discorso fatto dai penalisti, però, è chiaro: la nostra regione è “ormai divenuta la Calabria giudiziaria delle centinaia di ordini di cattura eseguiti nottetempo, nell’ambito di quei maxiprocessi, meglio definibili processi straordinari, in cui vengono concentrati presunti innocenti in forza di una interpretazione giuridicamente eccentrica, da parte della pubblica accusa, dell’istituto della connessione, che rende tutto (mafiosamente e non teleologicamente) connesso“. E questo non è un violento attacco ma una verità incontrovertibile.

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