Da grande discarica al pesce che mangiamo: come è cambiato il ruolo del “Pianeta Mare”

Il "sacrificio" del Pianeta Mare e come può cambiare il suo ruolo in positivo: la riflessione del biologo Silvio Greco

StrettoWeb

Come è cambiato, purtroppo in negativo, il ruolo del mare dall’avvio della grande rivoluzione industriale e cosa serve affinché possa cambiare nuovamente, ma in positivo, recuperando gli anni perduti. E’ la riflessione che emerge dall’analisi di Silvio Greco sul Fatto Quotidiano.

Pianeta Mare: l’intervento integrale

Proponiamo di seguito il suo intervento, integralmente.

“La sonda Lunar Reconnaissance Orbiter nel 2010 ha mappato con la Wide Angle Camera la faccia vicina della Luna, un mosaico di 24.000 x 24.000 pixel, con un dettaglio impressionante. Se invece parliamo di fondali marini, dobbiamo purtroppo constatare che abbiamo mappato solo il 5 % un abissale ignoranza. Eppure, è grazie ai servizi ecosistemici – “le caratteristiche, le funzioni o i processi ecologici che contribuiscono direttamente o indirettamente al benessere umano: cioè, i benefici che le persone traggono dagli ecosistemi funzionanti, resi dal mare che possiamo vivere, anche se ci troviamo a molti chilometri di distanza dalle coste. Guardiamo il mare solo dalla riva e solo durante un periodo estivo ridotto a poche settimane. Ma durante tutto il resto dell’anno, gli oceani ci donano la metà dell’ossigeno che respiriamo, assorbono anidride carbonica e calore, hanno un ruolo nel mitigare i cambiamenti climatici antropogenici, assicurano l’alimentazione a miliardi di persone, aiutano la medicina a sviluppare nuovi farmaci e tanto altro ancora.

Come specie Homo abbiamo vissuto gli oceani come una fonte infinita di risorse da sfruttare in modo irragionevole pensando a un’eterna cornucopia di prodotti ittici oppure come una grande discarica globale, prima di rifiuti naturali e poi sintetici e chimici di varia origine. Inoltre, gli oceani si stanno facendo carico da oltre 150 anni, dall’inizio della rivoluzione industriale, del più significativo scarto delle nostre vite quotidiane: l’anidride carbonica da combustione di prodotti di origine fossile. Oltre l’80% del calore in eccesso dovuto ai gas serra è stato assorbito dall’oceano.

L’altro problema prodotto dall’immagazzinamento della CO2 è l’acidificazione degli oceani. L’uomo, da quando cammina per il mondo, ha riservato al mare i suoi sogni, i desideri di conoscenza ed è diventato il profondo simbolo dell’ignoto da scoprire. Ma parallelamente l’ha usato come sua discarica. Sino alla fine dell’’800 questo non ha creato grandi squilibri e significativi impatti poiché gli oggetti scaricati erano per lo più di origine naturale, pertanto degradabili. Con la grande rivoluzione chimica e con l’avvento del petrolio le cose sono cambiate. Pensando che il mare potesse inglobare tutto, l’uomo è arrivato a scartare non solo il quotidiano ma anche rifiuti di difficile smaltimento, talvolta arrivando anche ad azioni moralmente criminali: scarti radioattivi e rifiuti tossici nocivi, reflui urbani incontrollati.

L’uomo ha compreso fin da subito come gli oceani potessero essere una fonte abbondante di cibo: la pesca è stata essenziale per le proteine necessarie all’uomo. L’Homo ha cacciato i grandi predatori come balene, squali, tartarughe, tonni e così via, diventando quindi anche lui predatore diretto e quindi fattore di perturbazione dei sistemi delle reti alimentari.

Sarebbe quindi necessario elaborare un complesso di linee governative internazionali dove il diritto alla vita sia a vantaggio dei nostri figli e pronipoti, includendo anche il loro diretto di conoscere orsi polari, coralli, balene e cavallucci marini e tante altre bellezze. Per poter garantire questo diritto, servono progetti capaci di avviare azioni in grado di garantire il mantenimento, la conservazione, il ripristino e la tutela degli ambienti marini, a cominciare dal c0ntrollo di tutti gli impatti che per la maggior parte sono originati sulla terra ferma. In breve, tutte misure atte a mantenere i servizi ecosistemici del mare.

Il pesce che mangiamo, le stagionalità regolari, eventi meteorologici non distruttivi e tanti altri beni e servizi ambientali del capitale naturale marino hanno un valore che va ben oltre quello di mercato. Dovremmo fermarci un momento, ragionare e quantificare il valore economico che ci viene donato dall’elemento base della nostra sopravvivenza. Quale valore diamo al diritto di respirare? Qual è l’importanza che diamo all’ossigeno? È rispondendo a queste semplici domande che può diventare chiara la necessità di cambiare rotta. Ma nelle proposte sui tavoli istituzionali per riavviare l’economia, anche in chiave di sostenibilità, il mare è il grande dimenticato. E quando lo si ricorda rimane solo un mero sistema produttivo da sfruttare con le regole della vecchia economia.

Eppure, se lo si guarda nella sua interezza, fatta di conservazione, ripristino e sviluppo di un’economia sostenibile, tra le tante cose, il mare potrebbe anche fornire milioni di posti di lavoro. È il luogo dove il capitale umano può unirsi con il capitale naturale e creare occupazione altamente qualificata, capace di produrre un miglioramento ambientale, che per forza di cose migliorerebbe anche gli ecosistemi terrestri.

Anche il mare ha però bisogno di passare dalla logica del prodotto interno lordo alla logica del beneficio interno lordo che si sviluppa insieme e non contro la natura. Se investiamo un euro sui servizi ecosistemici ne riceviamo 5 in benefici e in risparmio nelle inevitabili emergenze ambientali. L’Italia ha 8.000 chilometri di costa, e dunque una quantità attività legate al mare da convertire se ci si impegna in nuovi progetti ecosostenibili.

Pensiamo solo alla lunga filiera lavorativa che implicherebbe la semplice conversione della pesca invasiva. Pensiamo alla sostituzione nei numerosi impianti di molluschicoltura presenti lungo le coste affidati attualmente alle calze in plastica che potrebbero esser sostituite con materiale naturale come il cotone o la canapa. Oppure dare la gestione diretta ai pescatori dei mestieri che ruotano intorno alle attività di pesca sostenibile e, con il coordinamento degli Enti di ricerca locali, la gestione di aree omogenee, come golfi per la creazione di aree di nursery protette. Oppure la creazione di percorsi turistici subacquei collegati alla fruizione di percorsi naturalistici e archeologici. Incrementare le attività di whale watching, coinvolgendo i pescatori professionisti e le cooperative sociali. Individuare aree vocate all’acquacoltura biologica di specie a basso impatto energetico e creare una rete nazionale di e-commerce di vendita diretta dalla barca ai cittadini.

Non tralasciamo inoltre di considerare le infinite opportunità lavorative altamente qualificate che si potrebbero creare costruendo un’infinita filiera economica nel reparto del ripristino, recupero, restauro e bonifiche degli ambienti marini, dal litorale alle profondità. Dal dissesto delle coste, al restauro delle foreste marine quali quelle di Posidonia e di Cystoseira, alle bonifiche dei Siti di Interesse Nazionale SIN fino allo studio, alla caratterizzazione e alla inertizzazione delle navi dei veleni mappate fino ad ora.

Sono tantissime le cose che si potrebbero fare per riavviare il nostro paese se si uscisse finalmente da un’ottica produttiva falsamente moderna, da un’idea è possibile far nascere una rete fitta di relazioni, creazioni, innovazioni a catena la cui somma finale è molto superiore agli inneschi iniziali”.

Chi è Silvio Greco

Silvio Greco, biologo marino, Vice presidente Stazione Zoologica A. Dohrn (Istituto Nazionale di Biologia, Ecologia Biotecnologie Marine; docente di Ecologia marina presso la Pontificia Università Antonianum di Roma; direttore del laboratorio di sostenibilità e economia circolare, docente di Sostenibilità ambientale e di Controllo delle Produzioni Agroalimentari presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, membro della CNSA (Commissione Scientifica Nazionale per l’Antartide), già membro della COI (Commissione Oceanografica Italiana). Consigliere nazionale di WWF Italia, Grande Ufficiale all’ Ordine di Merito della Repubblica italiana.

Ha effettuato campagne di ricerca scientifica in quasi tutti i mari del mondo partecipando a 6 campagne di ricerca in Antartide. Autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche nazionali e internazionali e autore di 5 libri “Guarda che mare” con Cinzia Scaffidi (2007), il “Pesce” illustrato da Sergio Staino (2015) editi da Slow Food Editore,” Un’Onda di Plastica” (2018) ed. MANIFESTOLIBRI, “la Plastica nel Piatto” Giunti editore (2020), e “Attenti ai Dinosauri”, Autori Vari a cura di Luciana Castellina ed. MANIFESTOLIBRI (2020).

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