“Aiutami a non dimenticare”: quando i ricordi si sgretolano, impariamo a cogliere l’attimo

Il 21 settembre ricorre la giornata mondiale della Malattia di Alzheimer. Un morbo terribile ma che ci fa vedere la vita da una nuova prospettiva, quella delle "prime volte"

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Esiste un prima e un dopo ben distinti, che sono difficili da dimenticare: ognuno di noi, nell’arco della sua vita, ha vissuto quel momento di “trapasso” dove, dentro se stesso, ha affermato “ecco, da oggi la mia vita sarà differente”. Per le persone che hanno ricevuto una diagnosi di Alzheimer la linea di demarcazione è ancora più spessa: c’è un prima in cui si sta bene, si vive di esperienze serbate nel ricordo, e c’è un dopo, doloroso, dove quei ricordi si sfaldano e diventano piccoli come coriandoli, difficili da afferrare e conservare nella memoria. Ma una diagnosi di Alzheimer, per quanto dolorosa, non implica una vita finita: è vero, ricordare diventa irrealizzabile, ma è possibile continuare a vivere di “prime volte”.

Come bambini che assaporano piccoli pezzetti di realtà, ogni volta sempre nuovi, lo stesso accade per questi pazienti straordinari. Avere la malattia di Alzheimer implica forza di volontà, coraggio e anche un pizzico di follia, da parte del paziente e della sua famiglia. Oggi, 21 settembre, ricorre la giornata mondiale della malattia di Alzheimer: scientificamente parlando, la patologia prende il nome dal dott. Alois Alzheimer, uno psichiatra tedesca che nel 1901, interrogando una paziente 51enne, si accorse che aveva dimenticato il nome di molti aggetti a lei mostrati.

Raccolti dati e informazioni, lo studio continuò ad ampliarsi grazie al neurologo udinese Gaetano Perusini, il quale corredò le ricerche scientifiche di abili disegni a mano che spiegavano il morbo. Nel 1910 la malattia venne inserita ufficialmente nel “Manuale di Psichiatria” e prese il nome di morbo di Alzheimer. La patologia porta a un processo degenerativo che pregiudica progressivamente le cellule cerebrali e porta al cosiddetto “oblio”.

Questo pezzo però non vuole essere un trattato medico-scientifico, ma la visione ottimistica che capovolge il tutto: il mio invito è guardare ai malati di Alzheimer come persone che, riportando quanto già detto, vivono di “prime volte”. Certo, vivere con chi che dimentica il volto e i nomi dei propri cari ferisce nell’animo, ma è pur sempre possibile condividere episodi ed esperienze, dettati dalla spinta del nuovo e da chi li guarda con gli occhi pieni di meraviglia.

Convivere con l’Alzheimer significa “cogliere l’attimo”: gli eventi non rimarranno forse incastonati nella memoria, ma lasceranno comunque un’impronta positiva nella persona affetta, che sia un padre, una madre, un coniuge o anche un figlio. Vivere assieme alla giornata, con le difficoltà che il morbo comporta, e riuscire comunque a stringere la mano del proprio caro. L’intento non è “romanticizzare” una patologia degenerativa, ma quello di vedere il buono in ogni cosa, come se fosse la prima volta.

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