Il primo interrogatorio di Matteo Messina Denaro: “il bambino non l’ho ammazzato”

Dopo trent'anni di latitanza Matteo Messina Denaro ha parlato davanti ai giudici per la prima volta nel mese di febbraio

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Non sono un mafioso” ha detto Matteo Messina Denaro ai giudici che per primi lo hanno interrogato dopo il suo arresto. Il boss mafioso è morto nella notte, dopo giorni di agonia. E, ha precisato, “non mi pentirò mai“. Era il 13 febbraio scorso, a meno di un mese dalla sua cattura. Nei due mesi successivi il boss di Castelvetrano ha parlato di mafia, di famiglia, del reato di concorso esterno in associazione mafiosa. E lo ha fatto di fronte al Procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia e all’aggiunto Paolo Guido.

Io non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante, voi mi avete preso per la mia malattia“, diceva Messina Denaro. “Ora che ho la malattia non posso stare più fuori e debbo ritornare qua. Allora mi metto a fare una vita da albero piantato in mezzo alla foresta“. A Campobello di Mazara, dove viveva sotto falso nome, “mi sono creato un’altra identità: Francesco“. “Giocavo a poker, mangiavo al ristorante, andavo a giocare“. Si faceva beffe dei magistrati: “Non so cosa sia Cosa nostra. Io mi sento uomo d’onore, ma non come mafioso. Cosa nostra la conosco dai giornali… magari ci facevo affari e non sapevo che era Cosa nostra“.

Gli omicidi e il dito puntato su Brusca

Non aveva mai commesso “stragi e omicidi – diceva – non c’entro nella maniera più assoluta. Poi mi possono accusare di qualsiasi cosa, io che ci posso fare“. Era innocente lui. Anche in merito all’efferato omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito Santino Di Matteo, rapito a 12 anni e poi ucciso e sciolto nell’acido a 14 anni. “Una cosa fatemela dire: forse è la cosa a cui tengo di più. Io non sono un santo, ma con l’omicidio del bambino non c’entro“. Ha deciso e fatto Giovanni Brusca, dice Messina Denaro, “e io mi sento appioppare un omicidio, invece secondo me mi devono appioppare il sequestro di persona. Non lo faccio per una questione di 30 anni o ergastolo, per una questione di principio. E poi a tutti… cioè loro lo hanno ammazzato, lo hanno sciolto nell’acido e alla fine quello a pagare sono io? Ma ingiustizie quante ne devo subire?“.

Gli insulti a Falcone

Il boss latin lover parlò anche dell’audio inviato a una paziente della clinica di Palermo dove era anche lui in cura per il tumore, in cui, rimasto bloccato nel traffico il 23 maggio, insultava Giovanni Falcone: “Io non è che volevo offendere il giudice Falcone, non mi interessa…“, diceva. “Il punto qual è? Che io – aggiungeva – ce l’avevo con quella metodologia di commemorazione. Allora, se invece del giudice fosse stato Garibaldi, la mia reazione sempre quella sarebbe stata, perchè non si possono permettere di bloccare un’autostrada per decine di chilometri: così vi fate odiare“.

Il Procuratore de Lucia gli chiese perché scriveva a Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro rispose: “Perché quando si fa un certo tipo di vita poi arrivato ad un dato momento ci dobbiamo incontrare perché io latitante accusato di mafia lui latitante accusato di mafia dove si va?“. “Ma lei – lo incalzava il capo della Dda siciliana – se lo ricorda quello che scriveva a Bernardo Provenzano?“. “Sì, pressappoco sì, io chiedevo favori a lui se me li poteva fare e lui chiedeva favori a me se glieli potevo fare. Omicidi non ce n’erano, questo è sicuro“.

Francesco Messina Denaro

E Matteo ha parlato anche del padre, il boss mafioso Francesco Messina Denaro, che aveva definito “un mercante d’arte“. ”Vivo bene di mio, di famiglia. Mio padre era un mercante d’arte. Io sono appassionato di storia antica da Roma a salire – raccontava il capomafia ai magistrati – poi mio padre era mercante d’arte e dove sto io c’è Selinunte. Mio padre non è che ci andava a scavare però a Selinunte a quell’epoca c’erano mille persone e scavavano tutte. In genere il 100% delle opere le comprava mio padre che poi venivano vendute in Svizzera e poi arrivavano dalla Svizzera dovunque: in Arabia, negli Emirati e noi vedevamo cose che passavano da mio padre nei musei americani”.

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