“Alla Calabria ci pensano i calabresi”: e perché mai, l’Italia ha impegni?

Smettiamola di crederci il Vaticano e pretendiamo di più: alla Calabria ci devono pensare le istituzioni, non solo noi comuni mortali

StrettoWeb

Sono trascorsi solo 12 giorni dall’inizio del 2024 ma i buoni propositi, quelli che si appuntano in mente mentre si stappa lo spumante alla mezzanotte di San Silvestro, pare siano già stati tutti dimenticati. Non solo nella sfera personale (mi chiedo quanti di noi si siano messi a dieta e a fare palestra dal 1° gennaio) ma anche e soprattutto nella sfera regionale. Perché la Calabria, come sempre, sa sorprenderci ma non sempre in positivo. Sembra infatti che la nostra regione soffra di una sorta di dualismo, anzi di bipolarismo, che nuoce a se stessa e a chi ci sta dentro.

Il 31 dicembre la Calabria, nel bene o nel male, è stata protagonista indiscussa a livello nazionale: senza iniziare l’elenco trito e ritrito dei concerti che hanno riempito le piazze, sappiamo bene che le nostre città hanno avuto un ritorno di immagine incredibile. Tutti, anche chi era contrario e gridava “i soldi usateli per tappare le buche delle strade”, sono comunque rimasti meravigliati dello spettacolo che siamo riusciti ad offrire a tutta Italia. Tutto bellissimo dunque, ma il primo gennaio tutto era già sparito: e non parlo di promesse (vuote) di politici, ma della gente che non ci ha creduto abbastanza. Come se quel solo giorno di notorietà ci avesse permesso di diventare la futura “terra promessa”.

Le occasioni per la Calabria non stanno mancando, ci sono delle falle, ma anche esempi positivi: mi viene in mente l’investimento di Baker Hughes o, per fare un esempio “meno in grande”, il gruppo Callipo che tratta i propri dipendenti con riguardo e ha appena erogato buoni spesa da 400euro. Non siamo proprio gli ultimi arrivati, ecco, ma esistono sempre i disfattisti di turno i quali, forse sapendo che quest’anno sarà di 366 giorni, si sono affidati al modo di dire “anno bisesto, anno funesto”.

A meno che la Calabria non decida di implodere proprio quest’anno, dobbiamo essere noi, i primi, a credere che la nostra regione ce la possa fare. Ma non da sola, come dicono alcuni. Mi è capitato di leggere, tra un comunicato e l’altro, una frase del Generale Errigo, Commissario Straordinario per la Bonifica del Sin Crotone- Cassano – Cerchiara, che affermava, parafrasando, che alla Calabria devono pensarci i calabresi. E, perplessa, ho pensato che fossimo diventati la nuova Repubblica di San Marino e nessuno mi aveva avvertita: possibile che la questione dell’autonomia differenziata ci abbia portato, addirittura, a staccarci dallo stivale?

Poi, dopo uno sguardo alla cartina geografica e un sospiro di sollievo perché ancora eravamo confinanti con la Basilicata, ho esclamati: perché dobbiamo pensarci noi? Siamo parte di uno Stato, esiste una Repubblica democratica (non stiamo a sindacare su che tipo di democrazia si tratti, prendiamo per buono quello che riporta la Costituzione) nella quale rientriamo e, tranne se la Von der Leyen si sia incazzata e ci abbia cacciati, mi pare pure che facciamo squadra con l’Unione Europea.

E, allora, perché alla mia terra devo pensarci io? Non fraintendetemi, io alla mia terra ci penso nel momento in cui decido di restare qui, di lavorare nella e per la mia regione, di crescere, si spera, una famiglia in questo pezzetto di mondo. Ma il resto, cari miei, non devo farlo io ma le Istituzioni che sono chiamati a governarci: i fondi devono arrivare dallo Stato e dall’Europa, alle infrastrutture (benedetto Ponte e a quando ti fanno!) ci deve pensare il governo, non posso mica mettermi io con lo scalpello a costruirlo.

Perché, signori, mi devo rimboccare le maniche come se fossimo dimenticati da tutti? Eppure, mi pare, che quando si parla di sovvenzioni e progetti i soldi che vengono da fuori ve li prendete, eccome se ve li intascate. Però io, calabrotta, devo pensare a bonificare, a riqualificare, a rigenerare, a ricostruire e, se mi avanza del tempo, pure a realizzare una nuova Microsoft così impiego tutti i calabresi.

Smettetela, allora, di considerarvi un popolo a parte che non ha bisogno di niente e nessuno per crescere: “una mano lava l’altra” si dice, perciò non chiedete a noi poveri cristi di fare uno sforzo in più ma fatelo voi, testardi disfattisti, e invece di criticare chiedete, sempre e di più. A meno che non puntiate a diventare indipendenti come il Vaticano: mi dispiace però, di Papa ne basta uno.

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