Conte ed il Partito Democratico

Nel centrosinistra il problema di una pacifica coesistenza all’interno della coalizione appare al momento difficile da raggiungere

StrettoWeb

Nel centrosinistra il problema di una pacifica coesistenza all’interno della coalizione appare al momento difficile da raggiungere. Nel centrodestra questo problema non si pone. La vita di tutti i governi di questo schieramento politico è disseminata, specie con l’avvicinarsi di una competizione elettorale, di innumerevoli scaramucce, che alla fine si risolvono in tutta fretta. L’elemento pragmatico in questi casi aduggia in nome della sacralità del potere, tutti gli altri. Tornando al centrosinistra, soffermiamoci sui problemi dei partiti più grandi dell’alleanza, Pd e M5S, diventati ormai protagonisti di un conflitto permanente, dall’avversione alle guerre alla questione morale. aspetti che pesano non poco sull’orientamento degli elettori.

Partito Democratico

Il Pd nel confronto mediatico di tutti i giorni esibisce talvolta movenze aristocratiche, quarti di nobiltà non discutibili. Un fattore che in politica, ma anche nella vita di tutti i giorni, quando si disvela in forma marcata, non è mai esente da critiche. Per la verità non si può negare che il Pd, pur avendo una storia breve, ha compiuto negli anni passati una scommessa, rispetto alle abitudini italiane, del tutto originale e controcorrente. I Ds e la Dc, quest’ultima trasformatasi in “Margherita”, hanno demolito le loro antiche case per costruirne una nuova in comune. Un progetto riformatore, immaginato nel 2003 dalla sopraffina mente politica di Michele Salvati e immediatamente condiviso da Romano Prodi, all’epoca presidente della Commissione europea. Ho fatto parte, unico calabrese, su invito dello stesso Prodi, dei 45 soci fondatori del partito e ho seguito dall’interno con entusiasmo tutte le fasi della sua nascita. Ricordo con una certa emozione il 14 ottobre del 2007, il giorno del varo ufficiale del progetto. Ricordo le lunghe file dei votanti davanti ai seggi. Ci recammo alle urne oltre 3 milioni di persone e Veltroni vinse con il consenso di circa il 75 per cento dei votanti, L’incantesimo però durò poco.

La realtà s’incaricò dopo alcuni mesi tranquilli, di dissipare, per una congenita inclinazione al dissidio ideologico, in prevalenza presente nella sinistra, le premesse dorate della vigilia. A questa tendenza si era assommata in forma strisciante nei gruppi che si consideravano vincenti la volontà di far fuori Prodi da palazzo Chigi. Nelle riunioni preparatorie dei 45 il progetto, sia pure con grande circospezione, in qualche intervento di tanto in tanto baluginava. A circa un anno dalla nascita del Pd il governo presieduto da Prodi cadde. Alle politiche del 2008 il centrodestra di Berlusconi stravince, il Pd raggiunge il 33,17 alla Camera e il 33,69 al Senato. Alla guida del Pd i segretari cominciano ad avvicendarsi uno via l’altro indebolendo il partito. Oggi il Pd veleggia intorno al 20 per cento, anche perché sconta il disastro politico delle elezioni politiche del 2022, allorquando si presentò a competere senza un’alleanza e senza quindi neanche una possibilità teorica di vittoria. Un errore che non solo allontanò moltissimi elettori di centrosinistra dalle urne ma regalò ai potenziali vincitori di centrodestra una quota di consensi non piccola. E’ il tributo che il Paese, per una sua indole ormai storica solitamente offre ai partiti che si accingono a vincere. Approfitto a tale proposito per consigliare un bellissimo libro scritto da Gianni Oliva (per Le Scie di Mondadori) uscito da poco il cui titolo è eloquente “45 milioni di antifascisti”. Si tratta di quei 45 milioni di fascisti, i quali, finita la guerra, diventarono tutti antifascisti.

Giuseppe Conte

Soffermiamoci adesso su Conte. Il personaggio, come ho sempre scritto su questo giornale, è di buona qualità politica. Per una serie di circostanze note a tutti, su cui trovo superfluo soffermarmi, si trova oggi a guidare da solo quello che resta del movimento di Grillo e Casaleggio. Alcuni rivali che lo osteggiavano specie quando guidava il Paese da palazzo Chigi, sono stati in buona parte falcidiati da certe regole interne del Movimento che più barbine non potevano apparire. Ne indico una: la decisione di non candidare un deputato dopo due mandati legislativi.

Tale regola può avere un certo valore se applicata a un presidente di regione, a un sindaco, titolari di un potere notevole, proveniente dall’elezione diretta. Applicata a un parlamentare del M5S appare addirittura controproducente. E’ noto che solitamente quei parlamentari non provengono da Oxford. Non voglio qui elencare i mestieri di provenienza, tutti nobili e quindi rispettabili. Prendiamo per fare un esempio, gli antennisti – pare che nel movimento delle origini fossero più d’uno – dopo dieci anni di duro apprendistato parlamentare, quando cioè ha imparato qualcosa dei complessi congegni di una macchina complessa, lo si manda a casa? Ma veniamo al rapporto di Conte con il Pd che oggi sembra attraversare una crisi irreversibile. Anche se Conte, il quale, alcuni canoni, li ha metabolizzati in fretta, sa che in politica di irreversibile non c’è nulla. Siccome vuole raggranellare qualche voto in più alle elezioni europee e vuole raggranellarli preferibilmente a scapito del Pd, è costretto a muoversi con severità, a dare una scossa nei confronti del partito della Schlein Pd.

Non si tratta di un vero e proprio ritorno al “vaffa” delle origini. Conte sa bene di non possedere le capacità istrioniche di Grillo. Non le ama neanche. Sa però che attraverso un piglio molto deciso può risvegliare nostalgie sopite di tanti grillini rifugiatisi nell’astensionismo. Chissà che non sia – avrà ragionato Conte – anche l’allentamento in Italia del vincolo etico a spingere tante persone nel non voto. Ma l’obiettivo più importante per Conte è quello di consolidare attraverso questo suo atteggiamento intransigente il forte legane con l’unico giornale politico che sembra ogni giorno apprezzare il valore delle sue battaglie. IL Fatto quotidiano diretto da Marco Travaglio. Dunque la nottata delle europee deve passare. Poi alla luce dei risultati dei due partiti che Conte spera non divisi da un solco troppo grande, ci si siederà intorno a un tavolo per parlare di programmi e, perché no, di assetti di potere, che della politica costituiscono l’insostituibile nerbo.

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