“Era un bravo ragazzo…”

La parabola di Giuseppe Falcomatà, il Sindaco di Reggio Calabria: cosa c'è oltre l'apparenza del "bravo ragazzo"

StrettoWeb

Chi lo avrebbe mai detto… Era un così bravo ragazzo…”. Quante volte abbiamo sentito commentare così gli amici, i conoscenti, i vicini di casa di un giovane che si è appena macchiato di un reato gravissimo? Succede molto spesso, in modo particolare per i reati più efferati, basti pensare ai numerosi recenti femminicidi che hanno inorridito l’Italia. “Quei bravi ragazzi che uccidono” è anche l’azzeccatissimo titolo di un libro di Cataldo Calabretta e Vittoriana Abate, di recente presentato anche a Reggio Calabria.

Reggio Calabria è però anche la città dove il “bravo ragazzo” è il Sindaco, Giuseppe Falcomatà, che amministra la città da dieci anni ed è stato travolto nei giorni scorsi dall’ennesima inchiesta, stavolta gravissima. Non ha ucciso nessuno, ovviamente, il primo cittadino, che però è indagato per “voto di scambio politico-mafioso”, quanto di peggio ci possa essere per un politico: la Procura della Repubblica crede che abbia chiesto (e ottenuto) l’aiuto della ‘ndrangheta per farsi rieleggere alle elezioni comunali del 2020, dopo il brutto risultato del primo turno, per vincere al ballottaggio.

L’inchiesta Ducale e le prove di Falcomatà che chiede aiuto al referente della ‘ndrangheta per vincere il ballottaggio con Minicuci

Le carte dell’inchiesta “Ducale” contengono le prove di questo scambio: ci sono le intercettazioni in cui Falcomatà chiama Daniel Barillà, considerato dalla Procura il referente politico della potente cosca Araniti, nonché genero del boss di Sambatello Domenico Araniti detto “il Duca” da cui l’indagine prende il nome. Falcomatà chiede al pupillo del clan un “grande aiuto” per vincere il ballottaggio. “Danielino“, lo chiama Falcomatà con grande confidenza, “devi darmi una mano, una grande grande mano“. Il Sindaco lo invita a vedersi presso il suo comitato, proponendogli di entrare dal retro, e poi segue tutte le indicazioni di Barillà per una serie di incontri in campagna elettorale, molti segreti, organizzati in giardini, sempre lontano da occhi indiscreti.

Barillà, effettivamente, dopo le elezioni ottiene una nomina in un organo del Comune, oltre all’assunzione del figlio del boss Araniti, cioè di suo cognato, nella struttura del Partito Democratico a Palazzo San Giorgio. Le accuse per Falcomatà sono gravissime, e lo riguardano personalmente. Eppure, la macchina mediatica della sinistra si è subito messa in moto per sminuire l’accaduto e mantenere l’immagine di “bravo ragazzo” del Sindaco reggino. Dapprima, martedì mattina, dall’entourage del Sindaco hanno provato a trasmettere il messaggio che non era vero che Falcomatà fosse indagato. Poi lo ha ammesso lo stesso Falcomatà, che però in giornata rispondendo ai giornalisti sminuiva la pericolosità di Daniel Barillà, dicendo di “conoscerlo da sempre, è un incensurato impegnato in politica” e aggiungendo che la vicinanza alla cosca Araniti fosse “ancora tutta da dimostrare”. Invece Barillà è sposato con la figlia del boss: da dimostrare non c’è proprio nulla, in quanto si tratta di una parentela diretta e strettissima.

Adesso sempre lo staff del Sindaco cerca di sminuire ulteriormente, dicendosi convinti che non arriverà neanche il rinvio a giudizio – e quindi il processo – e addirittura sostenendo la tesi, più che bizzarra completamente infondata, che nell’ordinanza il Gip assolva il primo cittadino perchè non ci sarebbero prove. Nulla di più falso. Anzi. Il Gip non valuta neanche la posizione di Falcomatà, per cui il Pm non chiede l’arresto in quanto non può reiterare il reato (non si può più candidare), né può inquinare le prove già ampiamente acquisite, né tantomeno si può pensare che Giuseppe Falcomatà si dia alla latitanza in Sudamerica… Questo – in base alle carte – è l’unico motivo per cui Falcomatà non è stato arrestato (a differenza di Daniel Barillà, che è ai domiciliari con altri personaggi coinvolti nell’inchiesta tra cui la scrutatrice Martina Giustra con cui avevano orchestrato e operato concretamente i brogli elettorali alle comunali del 2020).

Stiamo parlando delle accuse peggiori che un politico possa mai subire: molto peggio dell’appropriazione indebita di denaro pubblico, perchè in questo caso c’è un’aggravante ideologica di gravità sconfinata che è la falsificazione della democrazia. Il ribaltamento della sacra volontà dei cittadini. L’imporsi al governo con metodi tirannici, per giunta con il coinvolgimento della criminalità organizzata.

Non rimane, quindi, che nascondersi dietro l’immagine – falsa – di un “bravo ragazzo” che in realtà non esiste. Sia Falcomatà in persona che il suo partito, il Pd, e le altre compagini a lui più vicine, hanno giustificato la vicenda parlando di altro: “Falcomatà e questa Amministrazione sono sempre state per la legalità” hanno dichiarato pubblicamente. Non si sa come e quando, in quanto si tratta di riferimenti generici, ma in ogni caso è esattamente come quando si commenta che quello “era un così bravo ragazzo” per il killer che ha ucciso la compagna dopo una lite o commesso un altro grave reato in un contesto di vita equilibrata e regolata. Falcomatà potrà anche essere sempre stato per la legalità, ma le carte dimostrano che dopo il flop al primo turno delle elezioni comunali del 2020 era disperato e ha chiesto l’aiuto a Danielino, il genero del super boss di ‘ndrangheta. Che l’aiuto gliel’ha dato. Falcomatà, quindi, è stato senza ombra di dubbio eletto con i voti della ‘ndrangheta, e il suo partito ha ottenuto un mare di voti falsi per brogli elettorali su cui ci sono già inchieste e processi che riguardano due dei quattro candidati più votati del partito (Castorina e Sera). Questo Consiglio Comunale e questa Amministrazione, quindi, non rispecchiano in alcun modo la volontà popolare dei reggini. Non sono democraticamente eletti, non sono legittimati a governare. Sono palesemente illegittimi, illegali.

Il consiglio comunale disertato dalle opposizioni e la Commissione d’Accesso in arrivo

Oggi, infatti, l’opposizione di centrodestra ha deciso di disertare il Consiglio Comunale. L’arrivo della Commissione d’Accesso per lo Scioglimento del Comune è praticamente scontata. Anzi. E’ già scandaloso che non fosse arrivata in precedenza. Per molto meno, lo stesso Comune di Reggio Calabria era stato sciolto nel 2012 per “contiguità con la ‘ndrangheta“. L’allora Sindaco, Demi Arena, non era mai stato neanche indagato e con gli ‘ndranghetisti non ha mai avuto nulla a che vedere. I suoi voti, e quelli del suo partito (allora era il PdL), non nascevano da brogli né tantomeno da aiuti della criminalità organizzata. Le lontane parentele di alcuni consiglieri comunali furono determinanti per arrivare allo scioglimento del Comune, secondo la relazione della Commissione d’Accesso dell’epoca. E oggi il Pd cerca di sminuire la strettissima parentela di ‘ndrangheta di Danielino Barillà, che nel 2019 ha sposato la figlia del boss di Sambatello ed è considerato dalla Procura il pupillo politico della cosca Araniti. A Danielino,  il Pd aveva già chiesto di candidarsi più volte nella propria lista, tanto che era stato coinvolto nello scandalo dei tesseramenti falsi (proprio a Sambatello!) quando segretario del partito era proprio Giuseppe Neri, una vita di impegno politico nel Pd insieme a Barillà per poi passare a Fratelli d’Italia nel 2019 e rimproverare Barillà di averlo “tradito” nel 2020 sostenendo Sera (Pd).

I due pesi e due misure della sinistra: un’ipocrisia inaccettabile

Per molto meno, altrove in giro per l’Italia e anche a Reggio in passato, il Pd si è agitato scandalizzato. Ma si può immaginare cosa avrebbero fatto Pd, grillini (il Movimento 5 Stelle non ha espresso una virgola di dichiarazione rispetto a quanto accaduto a Reggio!) e altri esponenti della sinistra, se questa stessa inchiesta avesse coinvolto un Sindaco di destra, di Fratelli d’Italia o della Lega, o di Forza Italia? No, non c’è bisogno di immaginarlo. Guardiamo la storia, passata e recente.

Il doppiopesismo della sinistra ha raggiunto livelli da fondoscala: si scandalizzano per qualche cretino della destra che stupidamente è caduto nelle provocazioni della sinistra e ha barbaramente usato le mani in parlamento, due giorni dopo che nel parlamento europeo hanno portato orgogliosamente una pregiudicata per violenze e aggressioni come Ilaria Salis, con diverse condanne – almeno due già definitive – e decine di processi per botte, risse, occupazioni abusive, invasioni di proprietà privata, resistenza a pubblico ufficiale.

Per quanto riguarda la giustizia, si scandalizzano per il governatore Toti a Genova (lui sì, arrestato, ai domiciliari da un mese con accuse molto meno gravi di quelle nei confronti di Falcomatà) e poi però difendono Decaro a Bari e Falcomatà a Reggio. Nel primo caso c’è un governatore come Emiliano che pubblicamente sostiene di aver chiesto per il Sindaco barese, allora suo assessore, la protezione di un boss della mafia locale. Nel secondo caso c’è adesso un’inchiesta che dimostra come addirittura Falcomatà abbia chiesto i voti al pupillo della cosca, genero del boss, con cui aveva un rapporto molto stretto. E il Pd ha ancora il coraggio di parlare di “bravo ragazzo“, nell’ormai impossibile tentativo di continuare a nascondere dietro una finta apparenza quello che è palese a tutta la città.

No, Falcomatà non è soltanto quello che si pensava. Non è soltanto incapace di amministrare il Comune, non è soltanto poco abile politicamente, non è soltanto arrogante e presuntuoso nei rapporti umani tanto da aver litigato con tutti i suoi sei vice Sindaci e con la maggioranza dei suoi Assessori. E’ persino un politico senza scrupoli, disposto a rivolgersi al referente della ‘ndrangheta per vincere le elezioni, operando con un grandissimo senso di impunità e superiorità anche rispetto alle leggi. Un atteggiamento che avevamo già visto in numerose occasioni e che l’ha costretto a rimediare in questi dieci anni numerose altre inchieste, altri processi, e rischiarne altri ancora (solo pochi giorni fa, lo stanziamento in Giunta di 120 mila euro per acquistare dal Tribunale Fallimentare i beni della Reggina tra cui grucce, gadget e marchio, esponendosi ai rilievi della Corte dei Conti).

Però “chi lo avrebbe mai detto, era un così bravo ragazzo…

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