Il fastidio di pensare – La storia violentata

Di Travaglio non condividiamo in toto le idee, e quelle dove maggiormente divergiamo sono quelle di politica estera

StrettoWeb

Leggiamo uno degli ultimi editoriali Marco Travaglio. Noi abbiamo da sempre avuto per il giornalista torinese una grande stima, se non altro perché gli riconosciamo l’altissimo merito, in un paese di giornalismo servile, di avere sempre avuto il coraggio di dire sempre quello che pensa. E anche, in un paese dalla memoria corta, di saper mettere una certa politica e un certo falso intellettualismo di fronte alle sue contraddizioni, semplicemente mettendogli davanti le proprie vecchie dichiarazioni appena un po’ impolverate. E basterebbe solo questo a distinguersi dove gli intellettuali sono sempre in vendita e spesso anche in saldo.

“Non condividiamo in toto le sue idee”

Questo non vuole dire però che ne condividiamo anche in toto le idee, e quelle dove maggiormente divergiamo sono quelle di politica estera. Nulla di male, naturalmente. Ognuno si fa le sue, partendo da una sua idea del mondo e dai suoi ideali etici. Anche a noi, intendiamoci, come credo a tutte le persone ragionevoli, la pace sta molto a cuore, ma quello che ci preoccupa è l’ingenuità di certi pacifisti. Anche Bertrand Russell prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale, forte della sua autorità intellettuale, scrisse una lettera aperta a Hitler in cui lo invitava a un confronto di idee con tanto di invito a cena e disponibilità a servirgli il miglior vino: possiamo solo immaginare, se mai avrà perso tempo a leggerla, le risate del dittatore tedesco.

E la stessa cosa sospettiamo adesso in molte posizioni dissimili dalla nostra. Ovviamente, e ce lo auguriamo, possiamo essere noi dalla parte del torto. Ma vediamo spesso in queste posizioni una alterazione dei dati che ci preoccupa anche da parte di chi fino a quel momento aveva mantenuto la massima onestà, e questo ci induce a pensare. Una cosa è difendere una posizione, altro è distorcere i dati per giustificarla: altrimenti si cade nell’imbroglio. Quello che non è concesso, in questi dibattiti, è violentare la storia (paradossalmente fare proprio ciò che fino a un attimo prima Travaglio aveva fatto denunciando e sputtanando dati alla mano dichiarazioni dei vari politicanti che falsificano i fatti a proprio uso e consumo) per potere difendere le proprie argomentazioni.

Critica a Mattarella

In uno dei suoi ultimi articoli il giornalista torinese critica l’ultimo discorso di Mattarella che difende l’appoggio occidentale alla difesa Ucraina facendo un parallelo concettuale tra l’inizio dell’espansione di Hitler nei Sudeti che fu accettata con una pace vile quanto inutile e quella del dittatore russo che starebbe attuando la stessa tattica espansionista. Ma secondo lui il paragone è improponibile e il capo di Stato italiano sarebbe un pessimo studioso di storia. Tanto è vero che intitola il suo articolo “Maestra [la storia] senza allievi”. Ma temiamo che il pessimo allievo sia proprio lui. Non perché, alla fine, la storia possa essere considerata davvero una magistra vitae: da questo punto di vista noi siamo allievi più che di Machiavelli di Guicciardini che diceva a questo proposito che la storia è un continuo e gli schemi del passato non possono essere riattualizzati così pacificamente nel presente.

La storia insegna poco e ognuno la interpreta a modo suo. Tuttavia questo non vuole dire che ognuno se la può tirare dalla parte sua come la vuole: certi suoi contenuti sono ormai acquisiti e a modificarli si scrivono delle autentiche castronerie: per esempio, e ci fermiamo alla più grossa: “contro Hitler si mossero Usa, Uk e Russia”. Travaglio scambia grossolanamente gli eserciti che alla fine la guerra la vinsero con le alleanze che vi diedero inizio, e mostra di non conoscerne affatto l’evoluzione. Se avesse avuto contro quei nemici anche un visionario come Hitler si sarebbe ben guardato dall’iniziare il suo programma di invasioni: e infatti la realtà all’inizio della guerra era completamente diversa.

L’Unione Sovietica era legata a Hitler da una alleanza d’acciaio che proprio Hitler infranse in maniera dissennata solo quando a ovest tutto era ormai sotto il suo controllo e contro il parere del più lucido dei suoi generali, Karl von Rundstedt, che gli ripeteva: “Questa guerra contro la Russia è un’idea assurda che avrà certamente un esito disastroso” e lo stesso Stalin ancora dopo un giorno non voleva convincersi che la notizia di un tradimento tedesco fosse credibile. Quanto agli Stati Uniti mantennero sempre una posizione rigidamente neutrale fedele alla dottrina Monroe che, detta in parole povere, imponeva di non impicciarsi dei problemi dell’Europa (un certo antiamericanismo nostrano lo considererà un sogno, se naturalmente riesce a credere che l’Italia sia stata davvero liberata da un manipolo di partigiani rissosi), e ci volle un attacco giapponese a guerra già da tempo iniziata per fare ottenere da Roosevelt il placet del Congresso all’invio di truppe in una guerra che considerava estranea.

I soli veri nemici di Hitler in una Europa imbelle furono, ma quando fu troppo tardi a causa di eserciti inconsistenti per un prolungato pacifismo, solo la Francia e il Regno Unito; una (la Francia) fu conquistata in un paio di settimane, e l’altra fu ridotta nello stesso tempo alla completa impotenza. Il progetto di Hitler di impadronirsi dell’Europa fu per diverso tempo completamente raggiunto e, con un po’ di accortezza, anche tranquillamente mantenuto. Questo non vuole dire, naturalmente, che la cosa riuscirebbe anche a Putin o che lui voglia fare altrettanto: il mondo è cambiato fin troppo per proporre simili paralleli e nel tempo ci sono molte coincidenze che determinano il destino degli eventi.

Restano però i principi: che non si può assistere impotenti al dittatore di turno di ingrandirsi quanto gli pare dicendo semplicemente che fino a che non arriva ai confini nostri quelli sono problemi degli altri e se li risolvano loro (alla Santoro); e soprattutto che non si può ottenere la pace sulla pelle delle nazioni, stile conferenza di Monaco: non è etico e, soprattutto, non ha mai funzionato molto a lungo. Ma ognuno, appunto, si sceglie la sua etica e la sua politica, per quanto cinici. È la storia che invece non si può scegliere; quella ormai è già avvenuta e se si sceglie di parlarne si deve prima avere il buon gusto di conoscerla e non si può modificarsela a proprio uso e consumo. Altrimenti le ripetizioni di storia, che invoca sprezzantemente per Mattarella, le deve fare lui: anche un buon vecchio Bignami andrebbe bene.

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