Appello ai calabresi contro l’Autonomia

Ho l’impressione che i calabresi abbiano colto negli ultimi tempi, in tutta la sua ampiezza, l’entità del danno a cui questa legge li condanna

StrettoWeb

In Calabria è cominciata da qualche giorno la raccolta delle firme, difficile ma indispensabile procedura per ottenere il referendum abrogativo della legge sull’Autonomia differenziata. Sono convinto che moltissimi calabresi correranno a firmare perché questa mobilitazione, oggi per le firme e domani per il voto referendario, segnerà il destino di questa nostra regione. Anche se l’impresa non è all’apparenza facile, avverto a naso una sensazione di ottimismo. Ho l’impressione che i calabresi abbiano colto negli ultimi tempi, in tutta la sua ampiezza, l’entità del danno a cui questa legge li condanna. E anche se talvolta molti di loro appaiono rassegnati, non si può negare, che storicamente, hanno sempre dimostrato di possedere una risorsa nascosta. Se infatti si convincono di subire un’ingiustizia, in genere rivelano una forte capacità di reazione.

La ragione è semplice. In questi casi si risveglia nel fondo di un’antropologia complessa l’antica attitudine alla lotta che ha contrassegnato per secoli la loro esistenza. Solo che un tempo il calabrese, chiuso nel suo secolare isolamento, era costretto a battersi contro una natura incantevole ma ostile. Quella che Giustino Fortunato definiva “la prepotenza dell’ingiustizia naturale”. Oggi, più prosaicamente, è costretto a battersi contro il solito leghismo che riprova ad attentare all’unità del Paese.

Protesta Roma

Qualche settimana fa ho ricordato su questo giornale la marcia di protesta di 35 mila corregionali a Roma, avvenuta nell’ottobre del 1978, che diede l’idea di una regione compatta su alcuni temi che avevano a che fare con la sopravvivenza del territorio. Oggi intendo richiamare l’attenzione su di un altro avvenimento calabrese che all’epoca non fece eccessivo clamore ma che appare, anche a distanza di tempo, simbolicamente rilevante. Nel 2006 si votò per il referendum confermativo del testo costituzionale approvato solamente dal centrodestra, perorato con forza dalla Lega. Ricordo che quel disegno di legge era stato definito pomposamente da Bossi “Devolution”. Un tocco d’Inghilterra, il paese che ha avuto il merito di redigere, nel lontano 1215, la Magna Carta, nella stesura di una riforma costituzionale fa sempre status. La sostanza di quella riforma, per la quale si andava al voto referendario nel 2006, era stata all’epoca accettata di malavoglia dagli alleati di governo della Lega perché danneggiava il Sud, dove quei partiti disponevano di ampie quote di consenso. Più o meno quello che sta avvenendo adesso. Capita sempre così quando il governo di un Paese si forma, non sulla base di una comune visione ma in forza di un patto di potere.

Devolution

All’epoca la Lega incassava la “Devolution” che avrebbe spaccato l’Italia del tempo, e alla restante alleanza di centrodestra offriva in cambio la governabilità, che, paradossalmente, resta, di là dei patti, sempre precaria quando in una coalizione di governo prende posto il partito del Nord. Che alla sua guida ci sia Bossi o Salvini non fa differenza. Basta dare uno sguardo al clima di guerriglia permanente che Salvini continua a dispensare al governo anche dopo le elezioni europee. Per non farla lunga, l’esito di quel referendum consacrò la Calabria, con il suo circa 80 per cento di “No”, al primo posto tra le regioni d’Italia che respinsero il testo caro alla Lega. Torniamo ai nostri giorni. Non mi stupirei se, a distanza di 18 anni, il fenomeno si ripetesse. L’ha anticipato di recente il presidente Occhiuto, il quale, sia pure con imperdonabile ritardo, ha chiesto, sulla legge in questione, una moratoria al governo. Intendendo escludere che si tratti di un posizionamento tattico all’interno di Forza Italia, Occhiuto dimostra quanto sia diffuso l’allarme in Calabria.

Riflessione

Una riflessione politica finale. Giorgia Meloni, dopo le elezioni politiche del 2022, ha firmato un accordo elettorale con la Lega e Forza Italia che le era indispensabile per coronare il sogno di una vita: salire, da underdog, le scale di Palazzo Chigi. Ma non sfugge a nessuno che quell’accordo oggi, a circa due anni da quella firma, la danneggi enormemente. Specie quello sull’ Autonomia firmato con Salvini che nuoce al Mezzogiorno e, alla lunga, com’è stato dimostrato, all’intera Italia. Un accordo, fra l’altro, privo della contemporaneità delle approvazioni parlamentari, che avrebbe dovuto rappresentare l’elemento cardine dell’intesa, finisce per diventare un mastodontico regalo alla Lega.

La scelta del tempo nella strategia abituale della vecchia Democrazia cristiana rappresentava sempre una componente essenziale, quasi preliminare, di un’impresa politica. Bisogna infine non sottovalutare nel nostro caso due elementi di rilievo. Il primo. L’inevitabile contrasto relativo alle funzioni trasferibili che l’Autonomia differenziata crea col premierato forte della Meloni. Il secondo. La legge Calderoli – l’abbiamo scritto tante volte – si abbatte come un ciclone su un territorio debole, dove la Destra tradizionalmente dispone di uno stabile bacino di consenso, non aleatorio come può apparire quello trovato recentemente al Nord. Per questi due motivi sono convinto che la presidente del Consiglio, di fronte all’abrogazione referendaria di questa legge, non farebbe alcun dramma. Come nessun dramma farebbero, ovviamente, Forza Italia, vista la recente posizione di Occhiuto e neanche, se vi si riflette un po’, coloro che in Calabria hanno deciso di militare nella Lega. I quali sarebbero sottoposti per il resto della vita alle critiche dei corregionali

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