Reggio Calabria, perchè Francesco Putortì è stato scarcerato: l’istanza che ha convinto il Gip

Reggio Calabria, il Gip ha accolto la richiesta degli avvocati difensori di Francesco Putortì e ha concesso i domiciliari: il macellaio di Oliveto è tornato a casa dopo 4 mesi in prigione

StrettoWeb

Nella giornata di ieri, venerdì 27 settembre, il macellaio di Oliveto Francesco Putortì è stato scarcerato ed è tornato a casa dopo quattro mesi di prigione trascorsi ad Arghillà. Una splendida notizia per la comunità di Oliveto, piccola frazione sulle colline meridionali della periferia di Reggio Calabria, particolarmente scossa dal caso che a fine maggio ha visto suo malgrado protagonista questo 48enne incensurato che si è difeso dai ladri sorpresi nella propria abitazione, utilizzando un coltello.

Uno dei ladri, tutti catanesi, è stato abbandonato dai complici ed è morto nel parcheggio dell’ospedale Morelli dopo circa 40 minuti dalla colluttazione con Putortì, dopo una precipitosa fuga prima a piedi e poi in auto. Per questo motivo, con un’ordinanza molto controversa che aveva fatto discutere, Putortì era stato rinchiuso in cella in via preventiva, in attesa del processo. Adesso, finalmente, dopo 4 mesi di restrizione, è arrivata l’auspicata scarcerazione disposta dal Gip, dott.ssa Giusy Laura Candito, in accoglimento delle richieste dei legali difensori di Putortì, avvocati Giulia Dieni e Natale Polimeni.

Nell’istanza con la richiesta di scarcerazione, gli avvocati difensori del macellaio di Oliveto hanno scritto che “il Signor Putortì si trova ristretto in carcere da quattro mesi. Si tratta di un uomo onesto, di un umile lavoratore, dipendente di un supermercato, apprezzato per la condotta di vita da sempre specchiata. La misura cautelare impostagli risulta gravemente ingiusta, sproporzionata, non ossequiosa del principio del minor sacrificio necessario e, comunque, non più giustificabile dalle ragioni dapprima ravvisate dagli organi inquirenti. Infatti tutte le esigenze ritenute sussistenti nel provvedimento di carcerazione, sono invece evidentemente insussistenti. Inoltre possono evidenziarsi dati ed elementi successivi, nuovi, in grado di conferire ulteriore rilevanza alle doglianze dell’istante, tutti conducenti nel senso di un’urgente revoca e/o quantomeno sostituzione della misura cautelare. Rispetto al processo, infatti, sono stati già effettuati tutti gli esami ed i rilievi sui luoghi ove si sono svolti i fatti; sono state sentite le persone informate sui fatti e sono stati effettuati sull’indagato nonché sui familiari indagini ed esami biologici (peraltro senza previo avviso ai difensori, accertamento questo che si contesta sin d’ora, riservando puntuale contestazione nella sede appropriata). Ebbene, il signor Putortì non ha posto alcun ostacolo alle attività di indagine, neanche a quelle per le quali non era stato dato alcun preavviso al difensore, dimostrando atteggiamento di sincero ossequio e completa disponibilità nella collaborazione all’accertamento dei fatti. Ciò significa che, se già al momento dell’applicazione del carcere si appalesavano esigui e comunque deboli elementi a sostegno delle paventate esigenze cautelari, e, in particolare, quelle relative al pericolo di inquinamento probatorio, ad oggi, una volta concluse le attività di indagine principali ed essenziali in relazione ai fatti, sostenere la sussistenza delle esigenze cautelari appare cosa assai difficoltosa“.

Giammai – procedono i legali – vi è possibilità di allontanamento volontario di Putortì, in quanto non c’è alcun elemento di una potenziale sottrazione al processo. Una tale ipotesi non troverebbe sponda né nella concreta condizione di vita di Putortì, né nelle sue frequentazioni, né nei precedenti penali (dal momento che il soggetto è incensurato), né nelle pendenze giudiziarie, e men che mai potrebbe in alcun modo ancorarsi a elementi vicini nel tempo rivelatori di allontanamento o di fatti prodromici ad esso. Non c’è stata alcuna condotta, alcun atto, alcun fatto o comportamento di Putortì, idoneo a far sorgere anche solo il dubbio di una simile intenzione del soggetto o, in generale, di una volontà del medesimo di sottrarsi all’Autorità Giudiziaria. Ecco perchè l’ipotesi del pericolo di fuga dell’indagato è del tutto insussistente. Infine, l’arresto in carcere sarebbe inoltre fondato su un paventato pericolo di reiterazione del reato, il quale, tuttavia, se già poteva dirsi insussistente ed inverosimile al momento della pronuncia dell’ordinanza, ad oggi appare da escludersi in modo netto. S’è già argomentato in merito alla personalità dell’indagato, soggetto incensurato e pacificamente estraneo dal coinvolgimento in contesti delinquenziali, finanche titolare di licenza di detenzione e porto d’armi. Dati, questi, pacifici e peraltro assolutamente rilevanti con riferimento alla prognosi di reiterazione del reato, che deve tenere conto della personalità dell’indagato, circostanza che nel caso di specie immediatamente escluderebbe un esito negativo rispetto al Putortì. Esclusa, quindi, l’inclinazione a delinquere dell’indagato ovvero sulla sua negativa personalità, è chiaro che un eventuale pericolo di reiterazione possa essere unicamente giustificato dalla verosimile possibilità di commissione di reati della stessa specie di quelli per cui si precede. Occorre all’uomo osservare che il paventato pericolo di reiterazione è graniticamente sconfessato dalla materiale insussistenza di occasioni idonee e/o utili a commettere condotte della stessa specie rispetto a quelle oggetto di giudizio: dovrebbe ipotizzarsi, non solo ipoteticamente ma che con estrema probabilità, altri malviventi decidano di aggredire con foga il signor Putortì, violandone l’abitazione armati ed in superiorità numerica, e che questi si difenda allo stesso modo, nonostante tutte le conseguenze che sta subendo ingiustamente per aver tentato di difendere la sua incolumità (ad oggi, probabilmente, si lascerebbe aggredire!). L’ipotesi è a dir poco inverosimile“.

Gli avvocati difensori, quindi, citano l’orientamento della Suprema Corte richiamando i casi che fanno giurisprudenza in merito, e poi sottolineano che “si registra un fatto nuovo, quantomai idoneo a dimostrare ed ulteriormente comprovare l’illegittimità, il difetto di presupposti, l’eccessività del trattamento cautelare inflitto a Putortì. Il trattamento riservatogli, infatti, appare illegittimi e non in linea con la giurisprudenza in materia, anche con la più recente, inerente la fattispecie della legittima difesa. Proprio nei giorni scorsi, infatti, c’è stata la nota vicenda di Viareggio dove una donna, dapprima rapinata, si è messa alla guida del SUV di sua proprietà per poi investire il rapinatore. La donna non pare averlo travolto una sola volta, avendo piò volte infierito sul corpo dell’uomo. Infine, recuperata la refurtiva, la donna abbandonava il predetto morente e senza allertare le forze dell’ordine ovvero i soccorsi. Ebbene, nel caso di Viareggio, che appare differente non poco da quelli in esame qui a Reggio Calabria, è stata inflitta alla donna la misura degli arresti domiciliari. Il Gip del Tribunale di Lucca, infatti, avuto riguardo della incensuratezza della donna, ha ritenuto sufficiente una misura meno afflittiva rispetto a quella della restrizione in carcere, apparsa senza dubbio non rispondente al principio del minor sacrificio necessario“.

Segue, quindi, il paragone con il caso di Francesco Putortì che – come già anticipato nelle scorse settimane su StrettoWeb – ha avuto un trattamento molto più severo rispetto a quello della signora di Viareggio, pur essendosi comportato in modo molto diverso e meno estremo.

Il Gip ha risposto all’istanza dei legali riconoscendo che “il decorso del tempo in regime di massimo rigore e lo stato delle indagini con gli ulteriori accertamenti espletati costituiscono elementi che permettono di ritenere attenuate le esigenze cautelari“, disponendo “la diversa misura degli arresti domiciliari presso l’abitazione dell’indagato, in regime dei limiti di allontanamento e comunicativi che la connotano“. Putortì, insomma, non potrà uscire di casa né comunicare con persone che non siano conviventi del suo nucleo familiare, senza autorizzazione dell’autorità giudiziaria, almeno fino a ulteriore differenti nuove misure che certamente i legali chiederanno nel corso delle prossime fasi che accompagneranno il macellaio al processo.

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