All’ombra delle fanciulle in fiore

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cosimo sframeliTardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato”. Il rimpianto di Sant’Agostino è anche il nostro. Seppure affamati di bellezza, non vorremmo accontentarci di surrogati, prigionieri di un estetismo esagerato che è la maschera di un vuoto che ci divora, desidereremmo lasciarci sedurre dalla bellezza che, come dice Soloviev, è trasparenza, la possibilità di vedere l’uno nell’altro. Una realtà isolata e brutta diventerà bella quando comincia a sorprendere, ad affascinare, a farci innamorare, a provocare un lancio verso l’alto e scommettere sulla vita, seguendo la sua danza e il suo ritmo. La storia ci insegna che non basta solo dichiarare guerra per vincere. Si devono approntare armi e mezzi adeguati per affrontare un’impresa ed avere buone probabilità di riuscita. Senza coscienza e volontà, che promanano fede, la superiorità non è sufficiente. Non bastano i programmi di riforma legislativa, degli ordinamenti e i provvedimenti economici per vincere la ‘ndrangheta, se contemporaneamente non si sente la spinta verso la partecipazione corale, verso una volontà unitaria per mete determinate. Non sono le leggi a fare gli uomini, ma viceversa. Le mafie non si affrontano solo con le normative, ma realizzando una forte coesione della società libera, culturalmente preparata e fiera della tutela dei propri diritti da qualsiasi arroganza predatoria e parassitaria. “Uno Stato è davvero forte soltanto quando alla lotta contro il crimine unisce la lotta contro le cause sociali, diventando così uno strumento di coerenti riforme sociali. H. Hess”. Per la ragione che la ‘ndrangheta si vince con una società di uomini liberi dal bisogno e dalla paura. Il dubbio, quindi, di vivere liberi o servi, vivere con o senza dignità di essere un popolo. La criminalità calabrese è una realtà della quale da tempo ne denunciamo i pericoli, ma, per amore di verità, la stragrande maggioranza della popolazione rifiuta la violenza come metodo di vita. La gente d’Aspromonte è una forza in pieno movimento che rigetta la violenza criminale e tenta in tutti i modi di arginare un fenomeno angosciante, riparando gli errori del passato compiuti da altri. In politica, farebbe piacere a tutti essere guidati da filosofi in un mondo ideale dove l’armonia, l’amore, la solidarietà e la ragione regolano i ritmi essenziali. Ma è un’autentica utopia per questa terra disordinata, disarmonica, chiassosa, con una certa predilezione per la polemica, per la chiacchiera; con la tendenza in taluni ambienti a privilegiare un sistema di tipo feudale, costituito da serie di vassalli, valvassori e valvassini sempre all’erta per rinnovare giuramento di fedeltà ad un qualche principe, anziché impegnarsi per la costruzione di una società di onesti e di capaci. Perché, parafrasando Pavese: “Lottare stanca”. Scriveva Corrado Alvaro nel 1955: “La mafia non è un semplice problema di polizia, né si tratta di mettere sotto accusa, come sta avvenendo adesso, e in stato di assedio, una intera provincia. La norma per una azione seria potrebbe dettarla l’esame di come si è comportata la classe dirigente di cinquant’anni”. In varie parti d’Italia si continua a discutere e la discussione è spesso fine a se stessa. La tendenza a ricercare un colpevole dei drammi calabresi è sempre forte. Ed è una battaglia non solo a favore della Giustizia, ma contro un modo di concepire la vita, intesa esclusivamente come soddisfacimento dei propri bisogni, desideri, ambizioni, egoismi, al di fuori e in opposizione a qualsiasi interesse collettivo, ignorando e calpestando. Giacché, un uomo lo si può uccidere non soltanto con il mitra ma anche con l’emarginazione, il trasferimento, la non promozione e per l’umiliazione subita per torti legalizzati. Le mafie sono vecchie quanto il mondo e sono parte del mondo. In Calabria è stata coniata una parola per indicare un’idea riferita ad una concezione di vita e ad una pratica realizzatrice che, in forme diverse, ha scritto la sua storia di prepotenze, di usurpazioni e di violenze di ogni natura. Una storia scritta anche nei salotti dei dotti che fingono di vivere o si illudono di poter continuare a vivere “all’ombra delle fanciulle in fiore” atteggiandosi a “numi tutelari dei diritti dell’uomo”. Fuori tali contesti, ci sono stati gli autentici sforzi di tanti sconosciuti o dimenticati, uomini e donne, che seppero opporsi alla ‘ndrangheta, alla sua mentalità mafiosa, e che idealmente hanno vinto per una società più buona e giusta.

“(…) La migliore gente di Zefira stava festeggiando la giustizia, senza alcuna paura”. Assicura in maniera illuminante lo scrittore meridionalista Gioacchino Criaco nel suo romanzo Zefira. “L’intera scena era dominata da Nuccio Allegra, tutti si complimentavano con lui, decine di microfoni pendevano alla sua bocca e lui placido si concedeva a ognuno. Allegra strinse centinaia di mani (…) Dov’era lo Stato in quel momento? Chi lo rappresentava? Gli zefiresi avevano fatto da soli, come sempre. Avevano trattato l’omicidio del sindaco come un fatto privato, risolvendo la questione a modo loro”. Dove regna l’incertezza del Diritto, essendoci disorientamento, il crimine organizzato tenta di profittare per imporre la sua concezione di vita. Necessaria è la formazione di una forte spiritualità per una nuova Rinascita, che vada oltre la pura conoscenza; una spiritualità, frutto di Rivolta, che induca al ripensamento del nostro essere e sia scelta di vita.

Cosimo Sframeli

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