Nel silenzio un’altra decapitazione: così l’Isis continua a mietere vittime mentre l’Occidente sta a guardare

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La campagna terroristica del Califfo procede con puntualità scientifica: l’ultimo sacrificio è quello di Khaled Asaad, un signore di 82 anni che amava il patrimonio storico di Palmira. Europa e Stati Uniti osservano il pericolo islamista con distaccata superficialità: e intanto i fondamentalisti avanzano metro dopo metro

Khaled AsaadLo Stato Islamico sarà anche sedicente, ma i morti che lascia sul selciato, gli uomini che vengono sacrificati a Dio in nome di una crociata perseguita con puntualità demoniaca, non lasciano molti dubbi sui pericoli all’orizzonte per l’intero blocco occidentale. La politica americana, e di riflesso quella europea, non sa esattamente come affrontare i barbari sodali del Califfo: in tal senso la decapitazione di Khaled Asaad, l’82enne direttore delle Antichità di Palmira, non costituisce né una novità né uno spartiacque sensibile nella strategia del terrore adottata dai barbuti fondamentalisti.

isisEppure Usa e Vecchio Continente procedono in ordine sparso: prevale, al momento, l’appello alla diplomazia di Tripoli, il tentativo di pacificare la Siria con strumenti alternativi all’uso della forza, la volontà di non intervenire nuovamente in Iraq. L’obiettivo è sottrarre territori al dominio degli islamisti, senza che una sola goccia di sangue europeo o statunitense sia ulteriormente versata in quelle terre lontane. Mentre il patrimonio dell’umanità viene distrutto, mentre le donne yazide sono vittime della cosiddetta “teologia dello stupro”, mentre le decapitazioni si susseguono con precisione scientifica (alla faccia dei nostri buoni propositi), le grandi potenze si perdono appresso alla speranza dei colloqui internazionali.

isisLa politica, da che mondo è mondo, ha bisogno di fondarsi su valori imprescindibili e la speranza che domani possa esistere un mondo migliore, qualora oggi si lavori alacremente per costruirlo, è uno di questi. Ma alla speranza non si può pagare dazio in termini di sicurezza nazionale, non possono essere sacrificate sul suo altare migliaia di vite traumatizzate da un’onda di barbarie chiamata jihad. L’Isis non è il frutto delle nostre errate scelte in politica estera. Non del tutto, almeno. Le idee che reggono alla base del Califfato sono idee che trovano cittadinanza in una visione ortodossa e integralista della religione mussulmana ed esse sono emerse allorquando l’Occidente ha fatto un passo indietro, lasciando il caos dopo la propria avanzata.

Omaggio a Charlie Hebdo - foto LaPresse
Omaggio a Charlie Hebdo – foto LaPresse

In Afghanistan come in Iraq il sacrificio di tante vite, soprattutto americane, ha destabilizzato psicologicamente l’opinione pubblica del vecchio “mondo libero”. Ai timori e alle paure, i governi hanno reagito con prudenza, issando bandiera bianca e studiando una exit strategy nella speranza, del tutto assurda, che riportando i propri ragazzi in patria tutto sarebbe volto al lieto fine. Così non è stato perché dietro il ritiro delle forze internazionali, che agivano per la ricostruzione su mandato Onu, si celavano gli appetiti di un nuovo terrorismo, pronto a fagocitare interi paesi bestemmiando il nome di Allah. E quanti si illudevano che il terrore sarebbe rimasto circoscritto alle regioni mussulmane hanno dovuto fare i conti con la violenza in franchising, quella di un marchio – l’ISIS per l’appunto – che è arrivato a sconvolgere le strade di Parigi con inaudita facilità.

Che in un determinato momento storico e a precise condizioni possa essere prevalsa un’adamantina remissività è un fatto normale; che poi a fronte della violenza esasperata e quotidiana si continui ad assistere ai bagni di sangue in nome di una concezione vestfaliana dello Stato, che non ha ragione d’essere vista l’illegittimità in cui opera l’Isis, questo è francamente inaccettabile. L’immobilità alla lunga presenta il proprio conto.

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