La pluralità religiosa come interpretazione della verità poliedrica

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pluralità religiosaLa verità trascende gli uomini e nessuno può dire di averla in tasca. Per conoscerla, occorre una comunicazione autentica, dialogo, confronto e rispetto dei diversi paradigmi intellettuali. Per paradigma intendiamo un promontorio a partire dal quale un gruppo di persone riesce a riflettere su sé stesso e sulla realtà che lo circonda. C’è da notare che la concezione della verità o della realtà non può essere uguale per tutti, considerata la diversità socio-culturale e religiosa che caratterizza gli uomini. A questo punto, una domanda sorge spontanea: esiste una sola verità o ce ne sono molteplici? Per capire meglio facciamo un esempio concreto: un indiano, cresciuto nel suo ambiente religioso, non può vedere la realtà dal punto di vista dei giapponesi. Questi ultimi non possono vedere la realtà alla maniera dei cinesi e così via. Questo dinamismo si può applicare a tutti i popoli con le loro religioni. Facendo riferimento all’immagine dei tre promontori come luoghi simbolici dell’osservazione e della contemplazione della verità, si può affermare che l’uomo religioso che si trova sulla cima dell’Himalaya, osserva la verità e vede la medesima con una certa grandezza. Ma la sua visione non domina la realtà intera. Essa è limitata, contestualizzata, e condizionata. La stessa cosa si verifica a coloro che si trovano sulla cima del Kilimangiaro o del monte Bianco (cfr. Oscar Bimwenyi Kweshi, «Théandricité du langage théologique…», pp. 26-27).

Ciò che fa vedere diversamente lo stesso episodio è il fatto che la verità è poliedrica e di conseguenza si lascia cogliere attraverso varie sfaccettature. E nell’interpretare la suddetta verità subentrano i condizionamenti storici, la diversità di cultura, di sensibilità umana e religiosa. I tre promontori, di cui sopra, ci vogliono aiutare a prendere consapevolezza del fatto che la verità si osserva sempre dalla prospettiva parziale della propria finestra culturale o religiosa. In quest’ottica si muoveva anche il filosofo indiano Raimon Panikkar quando accuratamente diceva: «posso credere di vedere tutto il panorama del mondo e il senso della vita umana, ma attraverso il colore, la forma, il vetro della mia particolare finestra. Posso anche credere che sia la finestra migliore, almeno per me, e che la visione che offre non sia distorta. A questo punto posso astenermi dal dare un giudizio sulla validità della visione che si può avere attraverso le altre finestre, ma non posso nascondere il fatto che io credo di vedere l’intero panorama (il totum) attraverso la mia finestra. Dovremmo essere consapevoli anche del fatto che vediamo il totum per partem, il tutto attraverso una parte» («Religione e religioni», p. 214).

Ciò premesso, ci rendiamo conto che la verità è una sola, ma viene osservata in modo diverso e da vari punti di vista a seconda delleculture e delle religioni. Ciò nonostante, la verità è unica ed identica. Essa, pur alimentando la pluralità, non si disperde mai nei vari enunciati in cui viene espressa. Le molteplici formulazioni storiche attraverso le quali la verità si sprigiona sono piuttosto l’avvento temporale della medesima che si manifesta «a tutti, ma a ciascuno nel suo irripetibile e personale linguaggio» (cfr. Luigi Pareyson, Verità e interpretazione, 69).

Quale è allora una via d’uscita ed un luogo intermedio in cui ci si può incontrare, visto che l’umanità è una, nonostante essa sia caratterizzata dalla pluriformità socio-culturale e religiosa? A proposito della differenza socio-culturale e religiosa, c’è da dire che «le persone sono diverse, come sono diverse le culture. Le persone sono guidate da religioni diverse e molte tradizioni influenzano le loro vite, ma nonostante tutte queste differenze tutte le persone hanno un’unica caratteristica comune: sono esseri umani, nulla di più nulla di meno» (Shirin Ebadi, Premio Nobel per la pace 2003). È quindi sulla verità dell’umano, che caratterizza ogni essere vivente, che ci si deve incontrare per trovare un’intesa ed un significato relativamente condivisi. Ciò esige una comunicazione. Ed è per questo che, ritornando all’immagine dei tre promontori, affermiamo che nonostante i loro diversi paradigmi intellettuali, le loro differenze socio-religiose e le loro distanze storico-culturali, i membri delle diverse culture e religioni, che si trovano sulle diverse alture delle montagne sacre, per avere una adeguata conoscenza della verità, devono comunicare, dialogare e confrontarsi tra loro. Altrimenti la pluralità religiosa, anziché essere una fonte di pace, diventa causa di violenza ingiustificata a cui, purtroppo, assistiamo impotenti e frustrati.

Sac. Alain Mutela Kongo (Parroco di Armo e Dottorando in Teologia Dogmatica alla Pontificia Università Gregoriana di Roma)

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