Inchiesta Ancol: indagato per truffa aggravata l’ex assessore messinese Melino Capone e due funzionarie della Regione

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Come disse George Weah in una domenica sportiva di qualche anno fa “è tutto un magna magna”. Ma il pensiero unanime del cittadino medio, a volte qualunquistico, quando spuntano i nomi sui documenti delle indagini assume tutta un’altra valenza. Sui finanziamenti regionali per i corsi di formazione, scagli una pietra chi non ha mai creduto che esiste una grossa probabilità di utilizzo improprio dei fondi. Oggi la chiusura delle indagini portate avanti dalla procura di Messina fanno luce su ciò che appare l’affare più grande in Sicilia: i corsi di formazione, appunto.

Il sostituto procuratore Camillo Falvo ha indagato per lungo tempo sui finanziamenti concessi dalla Regione agli enti che organizzano corsi di formazione professionale. A chiusura delle indagini, l’ex assessore della giunta Buzzanca, Melino Capone ha ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini, insieme a due funzionarie della Regione Siciliana, Patrizia Di Marzo, della segreteria dell’Avvocato generale, e Anna Saffioti, responsabile dell’Area Affari generale, entrambe indagate per truffa.

Melino Capone

L’inchiesta ha fatto luce sul ruolo di Capone nella sua qualità di ex commissario regionale dell’Ancol Sicilia (una onlus senza scopo di lucro). Secondo l’accusa l’Ancol, avrebbe percepito indebitamente 13 milioni e 600 mila euro dalla Regione Siciliana dal 2006 al 2011. Nel provvedimento firmato dal sostituto procuratore Falvo viene ipotizzato per Capone il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, ben 13 milioni di euro (70% erogato dal fondo sociale europeo, il 21% dallo Stato e il 9% dalla Regione Siciliana).

Fino al 2005 Capone era commissario regionale per l’Ancol Sicilia ma i rapporti con la sede centrale da tempo si erano incrinati fino a determinare la revoca della stessa carica nel 2006. L’Ancol nazionale inviò una lettera alla Presidenza della Regione spiegando che a Capone era stata revocata la carica e che in Sicilia non esistevano più circoli e sedi regionali della onlus né soci iscritti o dirigenti in carica. La lettera però, secondo quanto accertato dalla Guardia di Finanza, fu archiviata frettolosamente senza darne comunicazione ai dirigenti della Regione ed in particolare a quelli dell’assessorato all’Istruzione ed alla Formazione Professionale. A disporre l’archiviazione della missiva sarebbero state Patrizia Di Marzo, e Anna Saffioti, entrambe indagate nell’inchiesta con l’ipotesi di truffa. Impavido e incurante della revoca di commissario, ma soprattutto supportato da due fidi funzionari della regione, secondo l’accusa e in base ai documenti recepiti dalla Guardia di Finanza, Capone avrebbe però continuato ad operare come se nulla fosse. I progetti sono stati regolarmente finanziati dalla Regione per un totale di 13 milioni e 600 mila euro. Cifre che hanno consentito di aprire nuove sedi a Barcellona, Priolo Gargallo, Catania, Palermo e Mirabella Imbaccari e di effettuare diverse assunzioni. Le indagini hanno permesso di accertare che Capone ha assunto il padre, con uno stipendio medio di 3500 euro mensili, la madre, il fratello, la moglie e tre cugini. Ma hanno ottenuto un posto di lavoro nell’ente anche mogli e familiari di politici regionali e nazionali, di sindaci, assessori e consiglieri comunali di Messina e provincia tutti appartenenti all’area politica di cui fa parte Capone. La retribuzione mensile oscillava fra i 1200 ed i 1600 euro. Molti di loro sono transitati dai livelli bassi a quelli dirigenziali dove gli stipendi erano più alti.

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