L’arte degli “objets trouvès” ed il futuro di Saline

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ImmagineNon avrei mai potuto iniziare la mia esperienza artistica senza un rapporto d’amore verso i luoghi dove ho scelto di vivere questa parte della mia vita. Le cose trovate sulla spiaggia – trasfigurate dal mare e dal tempo – stabiliscono un nesso fisico delle opere col territorio e la sua storia. E’ come se, una volta raccolti e rigirati nelle mia mani, quegli oggetti liberassero suggestioni, impulsi, sensazioni. Capita così che prima ancora di lavorare ad una forma, questa si sia già imposta, mi abbia preceduto. Spesso non indugio, mi lascio semplicemente guidare: è difficile dire quanto dalla mia soggettiva creatività e quanto da una misteriosa forza intrinseca alle cose che raccolgo. Ma Saline non è un luogo magico. Né, d’altra parte, solo un cimitero senza speranza. Saline possiede semmai una risorsa paradossale: la forza estetica dell’archeologia post-industriale, il fascino di un paesaggio brutalizzato ma sovrastato da strutture mute e maestose. Enormi figure di cemento e di ferro che giganteggiano a monte e a valle, fin dentro il mare. Se smantellare per ripristinare è un’utopia, ragionare sul recupero e la riqualificazione di una parte di esse – penso per un momento all’area (quasi museale) dei silos della Liquilchimica – come possibili attrazioni artistiche e culturali significa concepire lo sviluppo in termini nuovi ed ecosostenibili. L’idea, in fondo, è la stessa che in qualche misura sottende al mio lavoro, quella dell’arte (e dell’etica) del riuso, della riconversione, della rigenerazione come rinascita. Un grande tema contemporaneo che sta occupando l’impegno, la passione e la professionalità di numerosi artisti, architetti ed urbanisti di tutto il mondo. Per Saline, una possibile via per riacciuffare e reindirizzare il proprio futuro, libero da ricatti al carbone e lontano da nuove improbabili ciminiere.

Pino Caminiti

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