Reggio Calabria, “Parentopoli” del Pd: la moglie di Ruvolo scrive a StrettoWeb, “figura individuata con avviso pubblico sulla base di comprovati titoli senza vantaggi economici”

StrettoWeb

Reggio Calabria, sulla “Parentopoli” interna al Pd la moglie del consigliere Ruvolo, Elena Nasso, intende precisare la propria posizione

La moglie del consigliere comunale Antonino Ruvolo, delegato del Sindaco Falcomatà alla protezione civile, Elena Nasso, ha scritto a StrettoWeb a seguito dell’articolo sullo scandalo Parentopoli nel Pd calabrese, che riportiamo integralmente:

“Il nome della sottoscritta figura tra i cinque componenti dell’ “Ufficio di supporto al Garante Metropolitano dei diritti delle persone private o limitate nella libertà personale”  individuata con avviso pubblico sulla base di comprovati titoli. Come lei stesso chiarisce, ma soltanto nel corpo dell’articolo, la nomina non ha alcun carattere di illegittimità e viene conferita a discrezione del sindaco nel rispetto delle logiche di trasparenza (si veda avviso pubblico) e non comporta alcun vantaggio di natura economica.

Aspetto ancor più preoccupante è l’ omissione da parte del giornale del fatto che la scrivente non ha mai accettato il suddetto incarico, che tra l’altro si ribadisce non aveva carattere remunerativo. Non si comprende il motivo per il quale non siano stati accertati i fatti prima di riportare notizie che hanno attirato l’attenzione negativa da parte dei lettori sulla mia famiglia.

Ci troviamo a dover chiarire l’effettivo svolgimento dei fatti, a causa di una notizia incompleta, tale da fare apparire agli occhi dei lettori una ricostruzione dei fatti distorta, e, sebbene mi sfuggano le logiche sue e del quotidiano online che si giova di queste “notizie”, la invito a rispettare le persone che lavorano e che operano quotidianamente con onestà e lealtà, tanto nell’ambito professionale, quanto in quello dei rapporti sociali.

Quale sia lo “scandalo” nella mia individuazione, dalla quale io e la mia famiglia, invece, lese gravemente e danneggiate ingiustamente nell’immagine e nella professionalità da quanto da lei pubblicato, non pare evincersi né dal contenuto dell’articolo,  né altrove.

Avrà modo di appurare che l’epiteto “parentopoli” può adottarsi nel caso di scandalo legato a favori concessi illecitamente a familiari di politici. Praticamente lei smentisce se stesso quando afferma che non vi è nulla di illegittimo nella nomina ed è evidente che anche il presupposto del favore ricevuto non trova alcun riscontro nella vicenda da lei posta all’attenzione come presunto scandalo.

E’ evidente, al contrario, che ha taciuto sull’assoluta gratuità dell’incarico, senza (verosimilmente) tra l’altro accertare che l’incarico non era stato accettato, inducendo il lettore nella erronea convinzione che la sottoscritta abbia ricevuto un vantaggio che non esiste”.

Doveroso specificare come la nomina della signora Nasso sia soltanto l’ultima puntata dello scandalo “Parentopoli” a cui facciamo riferimenti e di cui avevamo già parlato a fine Agosto pubblicando tutti i nomi di mogli, figli e nipoti di politici del Pd assunti nei gruppi consiliari riportando un’inchiesta della collega del Quotidiano Caterina Tripodi. In alcun modo abbiamo voluto ricostruire i fatti in modo distorto: abbiamo specificato all’interno dello stesso articolo come il buon senso amministrativo, rispetto a quanto sbandierato dal Sindaco Falcomatà in numerose occasioni, avrebbe consigliato scelte differenti a prescindere dall’accettazione o meno dell’incarico. Una questione di opportunità politica. Il problema non è sulla figura professionale di Elena Nasso, bensì le scelte del primo cittadino e del suo staff con un clamoroso intreccio di nomine di mogli, figli e nipoti in incarichi istituzionali legati alla stessa area politica che ci siamo limitati a riportare come un esempio non proprio esaltante per merito e trasparenza.

E ci mancherebbe pure che, nel caso in questione, le figure non fossero state individuate in base a un avviso pubblico: è un obbligo di legge. In caso contrario non parleremmo di “Parentopoli”, ma di illeciti veri e propri.

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