Il presidente dell’Aia, Marcello Nicchi, ha fatto chiarezza circa gli episodi arbitrali su cui si sono scatenate un po’ di polemiche
Polemiche, ancora. Per l’ennesima volta, a farla da padrone dopo una giornata di Serie A sono gli strascichi post partita causati da decisioni arbitrali che hanno fatto discutere. Un Gasperini furioso ha usato parole dure in seguito a Lazio-Atalanta, il Bologna si è arrabbiato per il rigore non concesso nel finale dopo il mani di De Ligt. A far chiarezza una volta per tutte è il presidente dell’Associazione Italiana Arbitri Marcello Nicchi, che ha parlato di questo e anche del rapporto tra arbitri, razzismo e sospensione gare a “Radio Anch’io Sport” su RadioUno.
“Gli arbitri stanno lavorando bene e applicando dei regolamenti che anche a noi non entusiasmano, ma il problema è che sono pochi gli addetti ai lavori che conoscono le regole, altrimenti non si capisce perché si dica che l’arbitro deve andare o meno a vedere (il Var, ndr) o che c’è confusione sul fallo di mano. Non bisogna dimenticare i ruoli che abbiamo. Parliamo di razzismo e violenza e poi sul campo, a fine partita, si vedono comportamenti che sono dei boomerang: circondare l’arbitro a fine partita invece del terzo tempo diventa dare pugni e calci all’arbitro di periferia. Mani De Ligt? La regola è chiara, c’è stata la giocata e non era rigore. A chi continua a dire che le regole si applicano a secondo del colore della maglia, dico di non andare più allo stadio”.
“La polemica di Gasperini? Sono due rigori sacrosanti. Non è compito nostro sindacare sulla forza del pestone o sul danno subito. Fino ad una settimana prima Rocchi era considerato il miglior arbitro italiano, bisogna accettare quello che capita in campo e gli allenatori ci devono dare una mano. Devono conoscere il regolamento e le dissertazioni si facciano nelle sedi opportune, in questo modo si crea solo discredito e si mette sulla strada sbagliata il moviolista o il giornalista”.
“Razzismo? Con il presidente Gravina siamo in prima linea nel cacciare questi cialtroni dai campi. Ai calciatori abbiamo detto che, quando si sentono offesi, possono venire da noi per un abbraccio o per essere consolati. Di più non possiamo fare: se poi ci chiedono altro lo faremo, purché questo non vada a discapito della gara: l’arbitro non può avere l’onere di vedere da dove parte un ‘buu’ o dove viene esposto uno striscione”.