In ricordo di Mimmo Martino leader dei Mattanza

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Il ricordo di Mimmo Martino, il leader dei Mattanza, a distanza di 5 anni dalla morte

Erano le tre del mattino di sette anni fa, quando io, Mimmo Pitasi, il proprietario della sosta e Mimmo Martino, il leader dei Mattanza stavamo sorseggiando una bibita seduti beati ad un tavolino fuori dal locale notturno.

Mimmo Martino aveva appena finito di rilasciare un’intervista ad un giornalista locale dopo aver tenuto un concerto nel pub più famoso di New York. Ripeto New York perché per chi non lo sapesse la sosta, Mimmo Pitasi e il jazz del venerdì sera, sono più conosciuti a New York che nel resto del paesello di Villa San Giovanni. Non so se la mia cittadina e i dintorni si rendono conto del calibro dei musicisti che Mimmo riesce a portare alla sosta ogni venerdì sera.

Non lo so effettivamente, so soltanto che le testate d’oltreoeano conoscono Mimmo Pitasi e la sosta come le loro tasche. Comunque, i due Mimmo erano tranquilli, io conoscevo la storia dei Mattanza, il loro lavoro di ricerca e seguivo tutti i concerti che mi era possibile seguire. Guardavo con tenerezza i due geni, l’uno, Mimmo Pitasi esperto e profondo conoscitore della musica globale, del ristoro allieta le serate di migliaia di persone da trent’anni a questa parte. L’altro, Mimmo Martino con una disabilita’ fisica che lo costringeva a reggersi in piedi con delle grucce, con la sua passione per la propria terra, aveva ridato vita, contenuto e spessore alla musica popolare calabrese.

Sfido qualunque gruppo che ha seguito le orme di Mimmo Martino e dei Mattanza a non riconoscerlo come maestro.

Ho chiesto pero’ quella sera a Mimmo Martino, perché avesse dato al gruppo il nome Mattanza e lui mi rispose ciò che sapevo già e cioè che quando lui pensava al popolo calabrese, lo associava ad una mattanza, ad un massacro senza tempo, fatto di sofferenza, emigrazione, fatiche, spesso ingiustizie e sopraffazione.

La mattanza non dei tonni, ma dei calabrese del popolo calabrese.

Mimmo Martino e il circolo culturale di cui faceva parte, anni prima avevano girato per le campagne di tre quarti di Calabria e avevano chiesto ai vecchi contadini di cantare ciò che risuonava nelle terre padronali in secoli e secoli di sudore e sangue.

Mimmo raccolse un patrimonio umano e culturale senza tempo che senza il suo intervento sarebbero andati  persi.

Il genio musicale, riarrangio’ il tutto, fuse la musica popolare calabrese con quella africana ed ecco che vennero fuori brani come: “un servu e un cristu, a fammigghia, vacci canzumi mia, ciucculatera e pitinissa” e molto altro.

Mimmo riscopri’ e canto’ il grecanico͙. Mimmo rivaluto’ la storia orale, il substrato della storia calabrese e cioè la storia contadina.

Il fatto che Mimmo abbia fatto centro era documentato dalla fiumara umana che seguiva i suoi concerti, ma cio’ che più mi impressionava era dato dal fatto che questa fiumara umana era fatta da giovani, esattamente quelli che giravano con le bottiglie di birra nella mano destra e la Malboro nella mano sinistra.

Erano gli stessi giovani  che popolavano i rave per giorni e notti interi. Cosa ci facevano  i giovani dei rave  ai concerti di Mimmo Martino?

Perchè ascoltavano la musica in religioso silenzio.

Penso che Mimmo avesse fatto centro ecco perchè. Mimmo aveva fatto centro perché Mimmo cantava le loro radici.

Ricordo la sera del 19 agosto di tanti anni fa, io e la mia amica di concerti di sempre Elisa Calarco eravamo in piedi su una panchina, in una piazza chiesa a Cannitello strapiena di gente, ed aspettavamo che Mimmo iniziasse a suonare.

Ad un tratto la piazza già stracolma venne letteralmente invasa da un numero incalcolabile di ragazzi coi jeans strappati e i capelli arruffati.

Avevano le bottiglie di Ceres in mano e qualcuno fumava con non calance  la  sua cannettina.

Io ed Elisa ci guardammo in faccia pensammo la stessa cosa, e la verbalizzammo “ e’ finita la festa, stasera finisce in rissa”.

Cosi’ non fu, i ragazzi ascoltarono entusiasti, non brillo’ il luccichio di nessuno spinello, anzi i ragazzi si fermarono ad ascoltare la musica spontanea che dopo il concerto si muoveva di qua e di la’ nella piazza. Io ed Elisa seguimmo decine e decine di concerti nelle piazze strapiene e gira e rigira incontravamo  sempre gli stessi ragazzotti.

Mai una rissa, mai uno spintone, mai sostanze stupefacenti che giravano, sempre l’ascolto della musica in religioso silenzio. Ora, penso che ad un cinque anni dalla morte di Mimmo Martino sia più che doveroso per la città ricordare l’artista e l’uomo. Ricordare oltre che la sua musica, il suo modo di fare storia, perche’ Mimmo nella lunga storia umana e culturale calabrese ha riscritto nuove pagine sature di significato e contenuti.

Storia,  significato e contenuti che fortunatamente rivivono nei gruppi che hanno considerato Mimmo Martino maestro.

Grazie Mimmo, ciao Mimmo.    

Graziella  Tedesco

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